Matteo Sacchi
Inferni possibili. Inferni nascosti nella realtà. Oppure la realtà guardata con quel particolare sguardo che consente di distinguerne i tratti più luciferini, sulfurei.
È questa una delle caratteristiche principali della scrittura di Alan D. Altieri, tanto che buona parte della critica e dei recensori non riesce a sfuggire al tic di inserire nelle recensioni la frasetta: «Maestro italiano dell'Apocalisse»(men che meno lo scrivente). Bene, nella raccolta di racconti appena uscita per Tea, Hellgate. Al confine dell'inferno (pagg. 332, euro 10), questa colata nera di parole, densa come pece è al suo meglio.
Tanto per fare un esempio dalle prime pagine: «Vento. Respiro raggelante dal sottosuolo, carico di un odore sottile, mefitico. Non doveva esistere, quel vento. Miscuglio sgradevole di sezioni umidificanti difettose, metalli corrosi, olio di macchina ristagnante. Di sicuro non doveva esistere là sotto. Invece esisteva. Emanazione da viscere contorte all'interno del cemento armato e dell'acciaio... ». Queste doti scrittorie, che hanno fatto di Altieri un unicum in Italia, però il lettore di genere le conosce già: a partire dalla monumentale Trilogia di Magdeburg o dalla Pentalogia di Los Angeles. Non varrebbe la pena di ricordargliele di nuovo.
Hellgate è, invece, interessante per il suo protagonista e per la sua ambientazione. Al centro di una furiosa spirale di morte e di violenza c'è Andrea Calarno, un tempo commissario capo della Omicidi, ora a capo di un molto più misterioso Dipartimento speciale investigativo.
Si tratta di un personaggio che Altieri ha inventato nel lontano 1989 con il romanzo L'uomo esterno (che divenne anni dopo anche una mini serie tv). È il prototipo del duro. Ma la sua durezza è incrinata quel tanto che basta per renderlo simpatico, per rendercelo vicino (almeno nella dose di parolacce che usa). Quanto all'ambientazione: strade, piazze, sotterranei e cimiteri della Milano più cupa. Perché, in fondo, è facile portare il lettore in un mondo altro, orrorifico, quando gli si fornisce un'ambientazione «esotica». Che so, una Los Angeles da thriller americano, oppure un oscuro recesso del Medio oriente, oppure ancora: un qualunque medioevo di violenza, passato o prossimo venturo. Costringere chi legge a giocare «in casa», farlo spaventare con un serial killer che va a spasso per corso Vittorio Emanuele è tutta un altra storia.
Altieri ci riesce. Per cinque racconti, pur diversissimi tra loro, trasforma paesaggi urbani italiani in luoghi fuori dal tempo e colmi di angoscia. Li distilla e li rende fantastici e tremendi come se fossero paesaggi familiari ma alieni: «Niente tibie incrociate, soltanto un teschio. Contorni di vernice a spruzzo nera. Denti spezzati simili a rostri di filo spinato. Cavità orbitali riempite in modo da sembrare due caverne senza fondo... Era solo un graffito... Deturpava il muro dipinto di un giallo urinario di quel brutto tozzo edificio di Città studi». E ancora: «La Curva Nord stava bruciando. Letteralmente. Sono venuti dentro con intere taniche di kerosene. Ultras: le nuove orde barbariche».
Ecco che allora il lettore si sente un piccolo groppo in gola affrontando le sue futuribili bolge quotidiane. Andrea Calarno e lo strano circo di personaggi che gli gira attorno si trasforma in una lente distorcente,e per questo affascinante, per guardarci addosso. Nel primo racconto della raccolta, 357 Hidra-shok, c'è l'invadenza dei media, l'insicurezza delle metropoli, la morte in diretta che fa marciare la macchina dei telegiornali; in Black-Cuda, l'edilizia selvaggia, il fascino perverso (ma un po' taroccato) del potere; in Metal purge il delirio quotidiano della violenza diventa quasi un incubo raccontato a uno psicanalista.
Ma non è mai bello rovinare le narrazioni altrui svelandone le trame oppure ucciderle analizzandone i moventi reconditi o gli agganci sociologici. I racconti e i romanzi vivono al di là dei trucchetti decostruttivi, traggono senso dalla loro capacità di appiccicarsi addosso alle persone. Questi racconti di Altieri lo fanno in modo disturbante. Vi resteranno sulla pelle come bitume su una spiaggia. L'effetto può non piacere a tutti. Sono davvero com'era l'hard boiled americano anni Cinquanta. L'hard boiled era disturbante e usciva con tante belle copertine a colori vivaci.
Ma come direbbe Calarno-Altieri: «Il tempo infondo è solo un intermezzo tra un reality show da dementi e una partita di calcio da dopati»
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