Herzog, l'oracolo "impolitico" del cinema

A Venezia riceverà il Leone d'oro per una carriera di successo ma lontana dai salotti

Herzog, l'oracolo "impolitico" del cinema

Werner Herzog, Leone d'oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia 2025, inizia come cineasta con Segni di vita nel 1968. Film francescano. Al limite dello sperimentalismo. Pochi mezzi. Perlopiù riprese in esterno. Dominano sole, strade polverose, abiti bagnati di sudore. Rivedendolo oggi ricorda la cartolina dei tempi andati, abbellita dalla calligrafia dei nonni nei toni azzurrini dell'inchiostro sbiadito. È una sorta di Mediterraneo (1991) di Gabriele Salvatores al contrario. L'Italia ha attaccato la Grecia, sicura di "spezzarle le reni". Quando la partita si mette male interviene l'alleato germanico. Un giovane militare tedesco viene mandato a presidiare un fortino nella piccola isola greca di Kos. Si trova bene. Ha persino una moglie figlia dell'Ellade. Non fa nulla. Il teatro di guerra è lontano. Il solo pericolo sono gli scarafaggi. E la noia mortale. Alla fine, impazzisce. La mancanza del contatto con la "terra madre" l'ha condotto per mano alla follia. I militari italiani di Salvatores nell'isola greca hanno invece scoperto la felicità. Non avvertono alcuna nostalgia per la lontananza dalla "terra madre". Anzi, in quella piccola porzione di suolo straniero si ritroveranno addirittura da vecchi. Sin dal primo lungometraggio Herzog (nato a Monaco di Baviera nel 1942) si differenzia dalla generazione cinematografica alla quale appartiene. Lo si ritrova nella fotografia di gruppo di talenti tedeschi che rappresentano l'ultima scuola europea: il "nuovo (o giovane) cinema tedesco", affermatosi tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo passato. Tutti sessantottini. Tutti politicamente impegnati a sinistra: Rainer Werner Fassbinder, Margarethe von Trotta, Alexander Kluge, Hans-Jürgen Syberberg, Volker Schlöndorff, Edgar Reitz. Tranne lui e Wim Wenders, entrambi "impolitici". Il talento visionario di Herzog forgia opere dure come il metallo, stilisticamente rigorose: Anche i nani hanno cominciato da piccoli (1970), Fata Morgana (1971), Aguirre, furore di Dio (1972), L'enigma di Kaspar Hauser (1974), Cuore di vetro (1976), La ballata di Stroszek (1977), Nosferatu, il principe della notte (1979). In controtendenza al proprio tempo, si muove in una direzione "antimoderna". Realizza gioielli visivi che sarebbero piaciuti a Richard Wagner, Friedrich Nietzsche, Oswald Spengler, Thomas Mann, Martin Heidegger, Ernst Jünger. Poi arriva la "summa": Fitzcarraldo (1982). Il protagonista è il suo "attore feticcio": Klaus Kinski. Lo stesso di Aguirre, ribattezzato "furore di Dio". Un fanatico e sanguinario conquistatore. Una sorta di Cristoforo Colombo armato. Risalendo il Rio delle Amazzoni, alla guida di pochi uomini, cerca di raggiungere l'inarrivabile quanto desiderato El Dorado. Ma come era accaduto al giovane militare tedesco in Grecia, tutto si conclude in follia e morte. È l'apologo per immagini dell'impossibilità della conquista. E del tentativo superomistico di oltrepassare il limite, ergendosi sino al sacrificio finale sulle rovine del mondo. La storia torna e torna di nuovo. Sempre la stessa. Nelle "tempeste d'acciaio" della Grande Guerra. O nella solitudine finale di Aguirre condannato a morte dalla foresta amazzonica su una zattera, sfinito dalle forze titaniche e invincibili della Natura. A dieci anni esatti da Aguirre Herzog si riaffaccia nuovamente in Amazzonia, affidandosi ancora al volto scavato e allo sguardo allucinato di Kinski (Fitzcarraldo). Siamo a cavallo tra due secoli: Ottocento e Novecento. Le macchine dominano la vita quotidiana. Il progresso sfreccia a ritmi incessanti. L'aggiornata versione superomistica di Aguirre ora indossa giacca e cravatta. Non ha più bisogno dell'armatura: gli basta un completo bianco. Un sogno titanico lo guida: costruire un grande teatro dell'opera nel cuore profondo dell'Amazzonia. Una volta edificato potrà ospitare addirittura l'esibizione del mitico tenore Enrico Caruso. Siamo ancora alla sfida impossibile. Alla nuova ricerca dell'Eldorado. L'esito finale? Un'altra sconfitta. Certe sfide appartengono al mondo dei sogni, destinate in partenza al fallimento. Ma l'importante non è il successo. L'importante è la lotta. Fitzcarraldo ha fallito. Però ne è valsa la pena. Più grande è l'impresa più l'individuo deve misurarsi con i propri limiti e potenzialità. Dopo Fitzcarraldo, "opera mondo", faro irradiante nel mare tempestoso del cinema contemporaneo, Herzog ha realizzato di tutto. Un profluvio di immagini: lungometraggi, documentari, programmi televisivi. È stato attore, regista teatrale, protagonista di ritratti-omaggi a lui dedicati. Un'intensa attività artistica lontana dai clamori della mondanità. Ravvivata da riflessioni mai banali, interventi sempre lucidi, memorie illuminanti. Herzog è un ambientalista privo di ideologia. Crede nella divinità della "terra madre". Assolutamente convinto di non ritenersi un artista si paragona a un soldato. Recensendo la sua autobiografia due anni fa osservammo come l'ultima poesia di Pier Paolo Pasolini, scritta in friulano e poi tradotta in italiano, Saluto e augurio, ha più di un'assonanza con il "cinema in forma di poesia" di Herzog. Pasolini invita un giovane a difendere la terra. Si rivolge al giovane che non lo ama per niente troppe sono le loro diversità, non solo di età suggerendogli un programma di vita semplice quanto scandaloso, ieri come oggi (la poesia è del 1975): "Tu difendi, conserva, prega". In fondo, l'opera visiva di Herzog si regge su queste tre assi. È stato strenuo e ostinato "difensore dell'umanesimo occidentale", aggredito mortalmente dagli sconquassanti attacchi delle idolatrie moderniste. È stato "impolitico conservatore", avendo scelto di rappresentare l'uomo per quello che realmente è, senza edulcorazioni di convenienza. È stato, infine, "predicatore disarmato", appartenente all'ordine irregolare dei rari "sapienti inascoltati", privi di cattedre, certificazioni scientifiche, appartenenze ideologiche, devoti alla religione laica, pur se intrisa di autentica spiritualità, impegnati a raccontare l'avventura dell'uomo con sguardo limpido, ingenuo, ma proprio per questo scandalosamente vero.

Proveniente dalla Baviera del Tardo Medioevo, come egli stesso afferma, Herzog non è un "profeta del passato", ma un "oracolo del futuro", sentinella dell'Occidente martoriato, in perenne servizio nel mettere in guardia gli uomini del presente minacciati, avviliti e vilipesi dalle molteplici forze della decadenza.

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