da Milano
A gennaio, dopo il botto di Matrix, il Messaggero aveva messo fra virgolette alcune dichiarazioni del defilatissimo Raniero Busco: «La mia posizione fu controllata attentamente e poi accantonata dagli investigatori. Ora una televisione mi riporta alla ribalta. Più che sottopormi, volontariamente, senza frapporre alcuna difficoltà, allesame del Dna non potevo fare. Mi ero convinto che sarei stato lasciato finalmente in pace. A quanto pare mi sbagliavo». Sì, si sbagliava perchè Busco non è solo il padre di due gemelli e un un tecnico specializzato dellAlitalia in servizio a Fiumicino, ma anche lultimo «ragazzo» di Simonetta.
Certo, anche per lui devessere strano rotolare sulla scena del delitto per una vicenda chiusa dentro il perimetro rassicurante del passato remoto. Allora, per la precisione la mattina dell8 agosto 1990, Busco aveva descritto agli agenti della squadra mobile lo spessore della relazione con Simonetta e aveva spiegato come avesse trascorso quelle ore. Insomma, aveva fornito il suo alibi. «Voglio precisare - queste le parole del ragazzo allora venticinquenne - che il nostro rapporto sentimentale non era equilibrato, nel senso che io nutrivo un semplice affetto nei suoi confronti, mentre lei mi amava strenuamente e a volte mi faceva capire che che da me pretendeva un maggior coinvolgimento». Dunque, il vestito del fidanzato stava un postretto a Busco che oltretutto aveva messo a verbale un altro dettaglio non da poco: «Io, dato che lavoro allAlitalia, con qualifica di operaio, incontravo Simonetta soprattutto il sabato e la domenica, mentre i nostri incontri infrasettimanali erano sporadici». Anche in quel principio di agosto: «Lultima volta che lho vista è stato lunedì 6 e siamo stati insieme dalle 20 alle 20,20. Durante questultimo incontro avevamo stabilito di rivederci venerdì sera dopo cena». Ci fu invece un altro meeting, fatale, nel pomeriggio del 7 agosto? Busco aveva raccontato di essere rimasto a letto, dopo una notte di lavoro, «fino allora di pranzo».
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