«Volevamo assicurare ai pazienti una morte dignitosa». Sono le 15,15 di ieri pomeriggio quando il dottor Pierpaolo Brega Massone rompe un silenzio che dura dalla mattina di giugno in cui venne arrestato. Nella aula più grande del tribunale si celebra il processo contro di lui e il suo vice Pietro Presicci, accusati di avere inventato decine e decine di operazioni inutili e dannose col solo scopo di incrementare le entrate della clinica Santa Rita, e di conseguenza i propri benefit. Da dieci mesi Brega è in carcere. Le sue richieste di ottenere almeno i domiciliari sono state tutte regolarmente respinte. Per lui la Procura ha preparato un percorso-record: arresto, processo e condanna senza un solo giorno fuori dal carcere. Se le cose andranno come vogliono i pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano, il dottor Brega rivedrà la luce del sole solo a pena espiata, tra qualche decennio.
Un altro al suo posto apparirebbe provato. Ma Brega è un uomo di resistenza inconsueta. Arriva in aula in giubbotto sportivo e golf verde chiaro, si va a sedere accanto al suo difensore Massimo Pellicciotta. Da San Vittore ha portato con sé un malloppo di carte. Ascolta con attenzione il controinterrogatorio di uno dei consulenti della Procura, un medico che ha analizzato per filo e per segno le cartelle cliniche della Santa Rita. Prende appunti, imperturbabile. Poi il giudice Maria Luisa Balzarotti gli dà la parola. «Voglio parlare per due ore», aveva annunciato nei giorni scorsi al suo difensore. «Non se ne parla neanche, al massimo ti concedo cinque minuti», aveva risposto l’avvocato, temendo che Brega finisse involontariamente col peggiorare la sua situazione. Alla fine, parlerà per un quarto d’ora.
Non ha perso l’aria da primo della classe per cui era famoso alla Santa Rita. Cita con calma e proprietà testi scientifici, accompagnando i giudici in un impervio sentiero di spiegazione della medicina toracica. Il suo obiettivo, in questo momento, è difendere la pratica che in Santa Rita era il suo cavallo di battaglia: la Vats, tre buchi nel torace. «Il dottor Brega Massone - si legge in una delle perizie che lo hanno portato in carcere - sembra avere una sola condotta: operare in Vats qualsiasi paziente gli capiti a tiro, indipendentemente dall’età e dagli esami clinici, che spesso non consulta e di cui non tiene conto».
Brega Massone difende a spada tratta la pratica della Vats. Non è nemmeno un vero intervento chirurgico, spiega. È uno strumento di diagnosi. Ed era l’unico modo per alleviare le sofferenze di pazienti ormai in metastasi avanzata, che rischiavano di morire soffocati dal liquido accumulato nei polmoni. Nella richiesta di arresto contro di lui sono citate 46 Vats inutili, realizzate solo per gonfiare i rimborsi regionali. Sei di questi pazienti sono morti. «Dove sono io - dice Brega, e intende San Vittore - non ci sono computer per fare la media.
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