« Ho una figlia, non la faccio uscire sola»

Il prefetto Ferrante: «La risposta in questi casi deve essere immediata»

Enrico Lagattolla

Via Ripamonti, linea diretta tra centro e periferia. Le case curate di fine ottocento che si fanno più basse, i muri scrostati. Poi si diradano e svettano, edilizia popolare anni Settanta, totem impersonali da dodici piani. Finiscono anche quelli, e l’ultimo bastione di umanità si ferma al civico 367. Otto famiglie. Attorno, autostrade e campagne. Strada statale 412, quartieri Vigentina e Vaiano Valle, parco agricolo Milano sud. Più giù, Opera. Nel labirinto che precede campi e risaie, via Chopin, la tana del branco.
«Però». Motivo ricorrente tra gli abitanti di via Ripamonti: «Via Ripamonti è tranquilla, però». Però «da qualche anno ci sono più immigrati», c’è il comando di polizia «però la strada è lunga ed è piena di vicoli ciechi», e «non mi è mai successo nulla, però anch’io ho una figlia di 21 anni e quando esce la sera sono sempre un po’ in apprensione», quindi «se posso la accompagno e la vado a prendere tutte le volte perché mi fido di più». Ventun anni, stessa età della ragazza stuprata. Il padre ha letto la notizia.
Ripamonti di un anno fa, quella del gioielliere che spara al rapinatore dopo l’ennesimo furto. Ripamonti di sabato scorso, quella della violenza. Gli abitanti sono al corrente, i commenti sono di sdegno e pietà, nessuno parla del quartiere come di un far west fuori controllo. Eppure è difficile dormire tra due guanciali.
Soprattutto, perdere contatto con la città è un attimo. A est della direttrice, ad esempio. Via Campazzino, i suoi capannoni, la presenza umana rarefatta, i depositi di camion, le lamiere e le baracche di un piccolo campo di clandestini. Forse da lì arriva la macchina dei cinque aggressori. E «di lì è meglio non andare». Lo dicono in molti, da queste parti. Lo dice la signora Anna, che vive con altre cinque famiglie nelle roulottes di un circo, stanziali in via Antegnati. E lo ripete Franca, che in zona ci sta bene, a parte la paura «per qualche balordo che gira la notte».
A ovest, uno spicchio di cemento prima dei terreni incolti. Stesse reazioni, stesse paure, stessi palazzi squadrati che si assomigliano tutti. Via Albinoni, via Peressutti, via Bottoni. E via Chopin, appunto.
«Povera ragazza». Voci unanimi dal tavolino di un bar, dove si accende il dibattito. E quel che resta è che, sia come sia, qualche poliziotto in più non guasterebbe. Chiedono «presenza sul territorio». La stessa di cui parla l’assessore alla Sicurezza Guido Manca, deciso nella condanna di «un grave atto di violenza» messo in atto da «criminali che devono essere al più presto affidati alla giustizia», che invita le forze dell’ordine a «un sempre maggiore sforzo per il pattugliamento e controllo, specie nelle ore serali e di notte». E il prefetto Bruno Ferrante spiega: «Dinanzi ad episodi così gravi, e per rispetto della ragazza vittima di tanta brutalità, si ha il dovere di aumentare l’impegno per prevenire e contrastare queste forme di criminalità. La risposta delle istituzioni deve essere pronta, tempestiva e adeguata».
A ritroso, via Ripamonti. Dal civico 367, ultimo bastione di umanità, una voce che arriva dal balcone.

Uomo anziano che si affaccia e ti dice che «sono sedici anni che vivo qui e non mi è mai successo nulla», che «l’unico problema è la distanza dal centro e il rumore delle macchine», e che di «episodi gravi», lui, non ne ricorda. Ma non ti dice il suo nome, non ti fa entrare in casa, non vuole che si sappia dove abita. «Perché - dice - via Ripamonti è una zona tranquilla». Però.

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