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"Ho inventato una chirurgia per sanare le ferite da tortura"

Il primario Massimo Del Bene ha creato una fondazione per operare al San Gerardo le vittime delle zone devastate

"Ho inventato una chirurgia per sanare le ferite da tortura"

"Non eravamo pronti (alle ferite da Medioevo)". Davanti a tibie rotte col martello, a ustioni e lesioni sui corpi provocate per ottenere riscatti, l'equipe era sbalordita. "Ci siamo dovuti specializzare in chirurgia della tortura ha ammesso Massimo Del Bene, il chirurgo plastico che nel 2010 al San Gerardo di Monza realizzò il primo trapianto bilaterale di mani. Oggi è in pensione e, lo scorso aprile, ha creato la fondazione Warchildrenhospital assieme al collega Paul Ley, per poter operare in Italia le vittime delle torture e delle guerre. In ottobre la fondazione verrà presentata ufficialmente alla Camera dei Deputati insieme con una mostra di fotografie curata dallo stesso Ley.

Va detto che "al fronte" Del Bene ci è sempre andato. Ha cominciato nel 1975, quando era ancora studente in Medicina ad accompagnare il dottor Piero Corti nel Nord dell'Uganda. È stato in Congo, in Sudan, in Eritrea, in Libia, quasi sempre presente a sanare le ferite dopo i conflitti. "Nasco professionalmente a Legnano alla scuola del professor Morelli, dopo 25 anni, nel 2007, ho fondato il reparto di Chirurgia plastica del San Gerardo di Monza (che conta 3.500 interventi l'anno ed è centro di riferimento per la Traumatologia pediatrica). Lì ci occupiamo soprattutto di traumi da strada e di incidenti sul lavoro oltre alle tantissime urgenze, la chirurgia delle torture ce la siamo inventata con le guerre". Fu grazie alla Caritas di Como che nel 2019 arrivarono a Monza una decina di ragazzi, tutti minorenni. "Lavoravano nei campi di detenzione in Libia e venivano torturati: colpi di machete o bruciature con le sigarette. La prassi era chiedere il riscatto alle famiglie facendo sentire le torture via telefono". L'anno scorso, invece, è stato nel Tigray, Etiopia. "Ero a Mekelle, la capitale, in missione con la Croce rossa di Ginevra: all'ospedale militare centinaia di feriti erano abbandonati da almeno un paio d'anni, saranno stati 400 ragazzi. La trascuratezza ha peggiorato il decorso, dopo gli interventi si sono rese necessarie lunghe riabilitazioni e lì siamo stati costretti a scegliere, quello che un medico non dovrebbe mai nemmeno pensare: abbiamo detto tu puoi essere operato, tu no. Perchè le sale in quei posti sono in condizioni improbabili, mancano i servizi igienici, volano le mosche. Gli interventi più semplici si potevano eseguire, i più complessi no, anche perchè la missione durava un mese. È stato lì che abbiamo pensato alla fondazione per riuscire a operare questi ragazzi in Italia. Va aggiunto che amputare un arto a chi abita in queste zone significa condannarlo a vivere da mendicante". Quale sarà la prossima missione? "Andremo in Siria, prima per un sopralluogo, necessario per capire cosa ci attende e quali sono le condizioni in cui poter operare, occorre anche il permesso del governo locale. Poi a Bukavu in Congo, alla missione dei Salesiani: lì i bambini lavorano all'estrazione delle terre rare e poi nel nord dell'Uganda dove arrivano le famiglie che scappano da Sudan e Congo". E con le donazioni potrete operare a Monza? "Questo è l'obbiettivo. L'accordo con l'ospedale è che tutto deve essere a nostro carico, trasporto, spese vive e costo dell'intervento".

Cosa l'ha segnata di più fra tutte le esperienze? "Nel 2017 ero direttore temporaneo a Niguarda. Mi ero imbattuto in un ragazzo di 17 anni della Costa d'Avorio. Aveva affrontato la traversata in mare, passando anche da Ventimiglia. Poi avrebbe raggiunto i parenti in Francia, era sul passo del Frejus a piedi, l'amico che era con lui scivolò da una scarpata, lui lo salvò ma c'era tanta neve e si congelò dieci dita. Me lo portarono qui e gli ho potuto salvare solo i pollici. È una storia che mi ha fatto pensare molto". Le mani sono quasi una costante per lei. "Mi sono perfezionato in chirurgia della mano, forse perchè da bambino ero un po' scapestrato e ho fatto due incidenti: a 4 anni mi sono bruciato le mani con una pentola d'acqua bollente e sono rimasto ricoverato per quattro mesi. A sei anni, mi sono tagliato una falange. Poi ho operato centinaia di mani". E il trapianto bilaterale del 2010 non ha avuto rigetto. "Grazie alle cellule staminali abbiamo scalato piano piano i farmaci, la paziente ora sta benissimo". Forse anche nel nome c'è il suo destino.

Cosa vuole aggiungere? "Quando sentiamo in televisione che un territorio è stato bombardato dovremmo pensare anche a quali sono i risultati: stiamo rovinando e condizionando le vite di questi ragazzi che hanno un'unica colpa, essere nati nel momento e nel posto sbagliato".

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