«Ero sul vagone numero tre del treno diretto verso Salerno. Due napoletani di fronte a me parlavano animatamente dell’antipolitica».
L’avevano riconosciuta?
«Forse sì. Di sicuro ne dicevano di cotte e di crude sui deputati».
A quel punto è arrivato il controllore?
«Sì. Di solito noi parlamentari facciamo il biglietto sul treno, o meglio presentiamo una tessera al controllore che digita il codice e lo emette seduta stante».
Il biglietto è gratis?
«Sì, ma in quel clima non me la sono sentita di tirare fuori la mia tessera e ho chiesto: quant’è? Ho pagato e in più sono stato costretto a pagare la multa».
Lo ha fatto per paura o consapevolezza?
«Guardi, io sono un medico prestato alla politica. A fare il parlamentare ci rimetto».
Non ha risposto.
«Voglio dire che io sono uno che non ha mai goduto dei privilegi che pure abbiamo».
Mi faccia un esempio.
«La tessera del cinema. Mi sono sempre vergognato perfino a portarla con me. Ho sempre pagato. E lo stesso vale anche per lo stadio».
Quindi condivide l’ondata di antipolitica?
«Mica tanto. Io pago il treno perché me lo posso permettere. Ma coloro che lo prendono di più sono quelli che lavorano di più. La politica costa ma costa di più la pubblica amministrazione inefficiente. Lei sa che ogni mattina a Roma ci sono settemila persone che non vanno a lavorare per malattia e permessi sindacali? Noi siamo più esposti ma è il sistema che va riformato».
Lei è medico.
«Sì, per me è una missione. Sa quante visite ho fatto lunedì? Cinquanta. E sa quanto ho guadagnato? Cinquanta euro. Non faccio pagare chi è del mio collegio e chi non se lo può permettere».
«Certo che lo pagherò. E non prendo neppure l’aereo perché ho paura. Con me lo Stato risparmia».
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