«Ho previsto tutto, ma non il crollo dell’Urss»

«Mi sorprese quel mondo finito come un castello di sabbia, io pensavo a un massacro»

La sua casa con giardino non molto curato sembra una delle più vecchie della zona. Modesta, semplice. Entro. Il padrone di casa mi aspetta nel suo studio, di sopra. Distaccato, attento mi accoglie con spontanea cordialità. Non nasconde che la mia visita è un'eccezione.
Stanislaw Lem è tra i migliori scrittori di fantascienza in tutto il mondo. Ha previsto Internet, l'ingegneria genetica, l'informatizzazione della società moderna, ma dopo averle viste tramutate in realtà non è per niente soddisfatto. Lem, in effetti, non ha una buona opinione del genere umano. Ne ha dato drastica testimonianza nel suo libro Krotkie Zwarcia pubblicato a Cracovia. «L'uomo ha adesso più possibilità nel suo agire. Quando la rete di comunicazione non era così sviluppata (non esistevano Internet, i cellulari, l'arma nucleare) l'uomo era perlomeno limitato nella sua cattiva, maligna attività».
A quest'uomo semplice al quale il successo non ha cambiato minimamente la sua idea del mondo, chiedo come affrontare la vita, in che cosa confidare per esistere nel modo migliore. Lem non è credente: «Non credo dai tempi del ginnasio» dice sorseggiando una camomilla. «È molto difficile trovare un’unica risposta alle nostre inquietudini esistenziali. Ho sempre cercato di essere un uomo onesto. Per quanto mi riguarda è importante portarsi da generosi con chi ha bisogno». Poi, parliamo di piccoli piaceri quotidiani. «Amo gustare qualcosa di buono. Un buon tè. Un buon libro», dice volgendo lo sguardo alla finestra. «Piove, ha l'ombrello?», mi chiede con premura. Quel libro sulla scrivania è Sherlock Holmes? «Sì, mi piace molto. L'ho letto parecchie volte. Non richiede tanto acume, è scritto bene».
L'uomo che ha previsto infinite cose avveniristiche, per l'immediato futuro teme maggiormente le minacce nucleari, specie da parte dei fondamentalisti islamici. Come vede, dunque, il presente rispetto a quello che pensava alcuni decenni fa? Si sente deluso? Lem risponde in termini impersonali, quasi volesse eliminare qualsiasi aspetto autobiografico, affinché la realtà raccontata possa prospettarsi in modo oggettivo. «Francamente parlando, speravamo in meglio. Non si tratta solo di benessere materiale, ma anche civile, culturale. Non si può dire che tutto abbia corrisposto alle nostre aspettative. D'altra parte, ci sono stati, ci sono anche aspetti positivi. Alcuni leaders politici hanno cercato d'intimidire la gente delle campagne sostenendo che l’aggregazione all'Unione Europea sarebbe stata una calamità. Non è stato così, per fortuna».
Tempo fa in Italia è uscito il suo libro Il congresso di futurologia. L'astronauta Ijon Tichy, il protagonista, si risveglia nel 2039 a New York dopo una lunga ibernazione e vede il mondo che è simile al nostro. Soltanto un po’ più allucinato, paradossale. Lem ha descritto con largo anticipo il destino antropologico delle società occidentali: una realtà dominata dagli psicofarmaci, dalla manipolazione dell’informazione, del linguaggio. Lem ha una sola risposta. «Non sono un visionario. È pura invenzione letteraria».
Benché abbia visto molte delle sue previsioni tramutarsi in realtà, Lem si è peraltro stupito ancor più per ciò che non ha previsto, la concreta data del tracollo dell'Unione Sovietica. «Certo, ero convinto che sarebbe accaduto, ma non ho intuito che il mondo dell'Urss sarebbe crollato come un castello di sabbia. Temevo un massacro». C'è stato un tempo che a Lem faceva piacere constatare che un gran numero dei suoi libri veniva stampato in patria e all'estero. Però, con migliaia di edizioni e traduzioni in 42 lingue si perde il controllo. «Non mi rendo più conto dove esce qualcosa di mio.

Il mio segretario mi mette davanti delle carte e io firmo. Non so neanche se tutto ciò mi fa piacere. È troppo. Ogni abbondanza annoia. L'uomo vive una sola volta. E non si dovrebbe suscitare attorno a sé tutto questo clamore. Meglio la tranquillità».

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