Romanziere piuttosto serioso, adatto a fidanzate intellettuali con allucinazioni morali, questa volta Ian McEwan ha stupito tutti davvero: Solar (Einaudi, pagg. 348, euro 20) è il libro più spassoso dell’anno, da versar lacrime per le risate, ma anche per ciò che impietosamente racconta sul mondo scientifico e sulla natura umana (il protagonista Michael Beard è un Nobel per la fisica di un laidume spirituale da far spavento).
A maggio, due mesi dopo l’uscita in Inghilterra, Solar si è persino guadagnato il premio «Bollinger Everyman Wodehouse» per il miglior romanzo comico in barba al suo stesso autore, che due anni prima aveva dichiarato: «Odio i romanzi comici: è come se ti sbattessero al tappeto per farti il solletico, obbligandoti a ridere». McEwan è in questi giorni in Italia: il 25 e il 27 novembre va in scena all’Olimpico di Roma l’opera For you, di cui ha scritto il libretto.
Mr. McEwan, si è ricreduto sulla sua vena comica? Non sapeva di possederla?
«Che dire? La scienza è anche comica, come la vita che si fa quando ci si diverte. L’idea del libro mi è venuta durante un convegno a Postdam, Berlino, in cui incontrai in una volta sola decine di Nobel scientifici, che erano lì, tutto sommato, per divertirsi. Quasi tutti uomini, quasi tutti vecchi, rimasi colpito dalla luce che emanava il loro ego smodato. Eppure alcuni il Nobel lo avevano vinto decenni prima. Osservai a lungo queste persone che vivono all’ombra di se stesse e gestiscono da burocrati una gran quantità di soldi pubblici, facendo finta di parlare di surriscaldamento globale».
E così nacque il personaggio di Michael Beard...
«Di fatto, Beard è un Nobel che non si occupa più di scienza, ma tenta di districarsi tra amanti e occupazioni di facciata, ed è caratterizzato soprattutto dall’avidità - una avidità estesa, non solo di denaro - e, per conseguenza, dall’essere sovrappeso. Una situazione tragicomica».
Anche drammatica tout court, volendo.
«Infatti. Ma quando decisi di trasporla in un romanzo, fui costretto a togliermi di dosso la tentazione di fare la morale, perché sarebbe stato il modo più sicuro per affossare racconto e contenuto. Sono finito tra le braccia della comicità. Il surriscaldamento globale non è una barzelletta, ma di certo sono comici tutti i tentativi che facciamo per risolverlo. Per dirne un’altra, mentre correggevo le bozze di Solar ci fu il congresso di Copenhagen, in cui la razionalità umana è stata soverchiata dagli aspetti più frivoli degli scienziati. Lo inserii nel romanzo. Forse tutto questo accade perché non siamo programmati per fare favori ai nostri discendenti, cioè a degli sconosciuti. Preferiamo il do ut des con persone che possiamo guardare in faccia».
Eppure suo figlio William ha appena scoperto il vaccino contro il raffreddore!
(ride). «È una panzana messa in giro dai mass media, di cui la scienza è spesso complice e vittima. Come quando si scrive che un certo gene è causa, che so, di infedeltà coniugale. I genetisti sanno bene che non esiste un singolo gene che sia causa di qualcosa. È l’interazione tra geni che può causare determinate situazioni, ma è una faccenda che stiamo appena iniziando a conoscere. Di una simile semplificazione è stata vittima la ricerca di William».
Tuttavia a centinaia tra quotidiani e riviste hanno gridato al miracolo.
«Inizia l’inverno, la gente è raffreddata, meglio parlar di starnuti che di come l’équipe in cui William lavora abbia trovato il modo di insediare un virus in una cellula ospite. I media funzionano così. E la scienza è spesso consenziente. Il vaccino, se arriverà, sarà tra una ventina di anni. L’ultima volta che scienza e giornalisti sono andati di pari passo credo sia stato all’inizio del Novecento».
Anche la burocratizzazione della scienza non aiuta. Si devono “esagerare” le scoperte per procacciarsi finanziamenti.
«Già, come è stato possibile? Mi è capitato di passare parecchio tempo tra scienziati e letterati. I primi hanno un atteggiamento pratico da risolutori di problemi che mal si accompagna con le scartoffie. Queste ultime hanno il solo vantaggio di far aprire la scienza alla satira, allo humour, come in Solar. Ad ogni modo, quel che continua a piacermi degli scienziati è il loro ottimismo. Pensano davvero che sia possibile capire, descrivere e cambiare il mondo. Mentre gli scrittori si auto-entusiasmano del loro pessimismo, si affliggono romanticamente dei loro problemi, si scavano dentro».
Ma chi, allora, tra scienziati e scrittori è più vicino alla verità delle cose umane?
«Domanda senza risposta. Francis Bacon, da alcuni ritenuto il padre della scienza, scrisse nel Seicento un saggio dove affermava che la verità è un gioco d’azzardo, una giostra. Penso che scienza e letteratura, alla fine, siano due modi per scalare la stessa montagna. Doversi documentare di scienza da romanzieri, poi, influisce persino sulla forma del racconto. Per Chesil Beach, Amsterdam, L’amore fatale non ho fatto nessuna ricerca.
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