Sarà che per sette anni una bambina di nome Minerva, protagonista del mio romanzo Ti lascio il meglio di me, mi ha tenuto compagnia notte e giorno, diventando una dolce ossessione; sarà che il disprezzo per questo mio Paese, che trova di questi tempi il suo «spirito assoluto» (povero Hegel, lui che era abituato a Bismarck...) nel governo Prodi, ha travalicato in chi scrive ogni ragionevole limite; sta di fatto che stanotte ho fatto un sogno. Ho sognato, mio sciagurato lettore, che uno stretto collaboratore del Presidente del Consiglio sia stato «gabbato» dal solito «spione italiota» che ha messo in piazza un insolito scandalo, per la verità per nulla «italiota»; su carta intestata di Palazzo Chigi, il consulente aveva di fatto, in segreto accordo con alcuni pezzi eversivi di Magistratura Democratica, architettato un piano perfetto, ai limiti della legalità, per non permettere che la vita della piccola Maria facesse ritorno e capolinea in Bielorussia, parcheggiata tra gli artigli dei suoi immondi aguzzini.
Ho sognato poi che il Presidente del Consiglio Romano Prodi, dinanzi allo scandalo che travolge il suo fedele collaboratore, abbia preso posto sul suo trono di fiori e paillettes, abbia guardato la telecamera della tv di Stato, senza aver paura del suo primo piano, e che per una volta non abbia bofonchiato come un cinghiale emiliano infastidito (pardòn, come un capriolo piemontese agonizzante); il Presidente ha affermato a chiare e corrette lettere: «Il mio consulente ha agito per conto e a nome mio, e sono qui a rivendicarlo; il mio governo ha come priorità assoluta la difesa dei deboli, dei poveri; li vuole difendere fino in fondo, a tutti i costi. Per questo Maria resta in Italia. Nossignori, la bambina da qui non si muove». Poi il Presidente del Consiglio ha dato un bacio castissimo alla sua provocante Sottogretario alla Giustizia, e le ha detto, citando Camilleri: «Tranquilla, metti sotto coperta il tuo rigoglioso decolleté, vado io di persona personalmente a risolvere la questione».
Quando il Presidente si è seduto al tavolo delle trattative, il kafkiano, draculesco console bielorusso è sbiancato ancora di più e si è fatto coniglio: il nostro Presidente manco lo ha fatto parlare, gli ha detto: «La bambina rimane qui. E ti fornisco in breve le ragioni; per me in particolare accettare il rimpatrio di Maria significherebbe negare la tanto declamata idea di integrazione dei popoli che altro non è che il dovere di accogliere chi ha bisogno, chi è disperato, chi vede nel nostro Paese una possibilità, una speranza di salvezza; per me in particolare, non me ne frega niente di aiutare i poveri alzando o diminuendo l'Irpef, tassando le astronavi a quattro ruote motrici e detassando le Euro 4, se poi non riesco a tutelare un'innocente calpestata dal Male; per me in particolare che sono cristiano, mi sembra assurdo stare nel mio Paese a blaterare proposte di legge sulla fecondazione artificiale, sui pacs e le adozioni, ad interrogarmi sul senso della vita, della morte e dell'eutanasia, se poi non riesco neppure a difendere colei che, come i tutti i bimbi del mondo, sbandiera un sorriso e un disegno per chiedermi di poter continuare ad amare chi la ama, a giocare con chi le ha insegnato a sorridere, a vivere con chi si è preso la miracolosa responsabilità di farla sentire viva. Per me in particolare possono andare pure a farsi fottere leggi e decreti, accordi bilaterali ed incidenti diplomatici, Tribunali dei Minori e pure quelli dei minorati, pericolosi precedenti giurisprudenziali e minacce di ritorsioni politiche; stanotte Maria dorme in Italia, domani Maria si sveglia in Italia, dopodomani pure, per sempre. E così sia».
Ed invece mi sono svegliato e ho visto auto dai vetri oscuri e vigliacchi, sfruttando l'omertà delle tenebre, squarciare il silenzio di un giardino, saccheggiare le speranze di una coppia di sposi e di nonne che gridano e piangono nella sala d'aspetto di un aeroporto; ho visto lo Stato traghettare le ali imbrigliate di un angelo verso l'inferno di qualche sordido istituto. Mi sono svegliato, sono entrato in un bar e ho sentito una nonna italiana, con la borsa della spesa in mano, sussurrarmi: «Hanno sbagliato quei due ragazzi; dovevano rivolgersi alla mafia; così la bambina non sarebbe partita...».
Sono stato in silenzio, non ho replicato; e quando mi sono reso conto che per un attimo - sia pur rapidissimo - sono stato d'accordo con lei, ho provato un brivido violento; oggi, mio sciagurato lettore, per me in particolare ho capito che era meglio dormire dentro ad un sogno, piuttosto che tremare dentro a questo nauseante, istituzionale incubo.
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