HOFFMAN

«In Italia, sotto i Borgia», diceva Orson Wells in una famosissima scena de Il terzo uomo, «per trent’anni hanno avuto guerre, terrore, assassini, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù». Be’, c’è un’altra cosa che gli svizzeri hanno inventato; anche se non so quanto ne vadano fieri. Sto parlando dell’lsd, la droga che ha segnato gli anni Sessanta.
Lo so, sembra incongruo: quando si pensa all’acido lisergico non vengono in mente le Alpi vallesane ma Haight Ashbury e Carnaby Street nei mesi caldissimi e felici dell’estate dell’amore - anno di grazia 1967 - quando la «gioventù bellissima» mandava giù a memoria il Libro tibetano dei morti e lasciava sfrigolare sotto la puntina dei giradischi un album in cui il più famoso gruppo musicale di sempre cantava di cieli di marmellata, ragazze con occhi caleidoscopici, fiori di cellofan, taxi di giornale e facchini di plastilina con cravatte di specchio... Eppure, sideralmente distante nel tempo e nello spazio da quell’universo coloratissimo tratteggiato da John Lennon in Lucy in the Sky with Diamonds (provate a mettere insieme le maiuscole del titolo...), la fonte primigenia da cui attinsero i fricchettoni della controcultura, dei sitar e dei mandala, di Woodstock e dei sottomarini gialli, era un tranquillo chimico di Baden con la passione per piante medicinali dai nomi davvero poco suggestivi, come la segale cornuta.
Si chiamava Albert Hoffman ed è morto due giorni fa a 102 anni, un’età in cui gente come Jim Morrison e Jimi Hendrix avrebbe fatto in tempo a vivere tre vite. Il 16 aprile 1943, Hoffman stava conducendo degli esperimenti che servivano a un suo studio sul ballo di San Vito quando gli cadde sulla mano qualche goccia di un componente di un alcaloide, procurandogli quello che lui descrisse come «un incredibile senso di irrequietezza associato a uno strano stordimento. Dovetti distendermi con uno strano e spiacevole senso di intossicazione caratterizzato da un’immaginazione stimolata all’estremo. Come sospeso in un sogno, con gli occhi chiusi perché trovavo la luce del sole troppo abbagliante, ho sperimentato un flusso ininterrotto di immagini fantastiche, forme meravigliose con giochi caleidoscopici di colori straordinariamente intensi». Fu con queste precise parole che l’inconsapevole studioso svizzero fece nascere la psichedelia.
Il primo a usare il termine psychedelic fu nel 1957 uno psichiatra di Weyburn, in Canada, il dottor Humphrey Osmond, in una lettera indirizzata al romanziere Aldous Huxley. Aveva unito le parole greche psichè (anima) e delos (manifestare) per descrivere «l’allargamento della coscienza». Nella corrispondenza tra il medico e lo scrittore si faceva riferimento all’acido lisergico scoperto da Hoffman, e fu da quel momento che la psichedelia e l’lsd rimasero prigionieri l’una dell’altro. Il chimico svizzero credeva che l’lsd potesse aiutare a comprendere la struttura della mente umana, a seguirne i processi associativi per arrivare all’origine di quella che noi chiamiamo immaginazione. Ma negli anni Sessanta - come sappiamo - l’immaginazione va al potere e l’acido lisergico viene allegramente sottratto dalle mani del suo inventore. Timothy Leary si fa promotore della diffusione dell’lsd alle masse e dà alle stampe L’esperienza psichedelica, la bibbia degli hippies di tutto il mondo («Un’esperienza psichedelica», scriveva, «è un viaggio verso nuovi reami di coscienza»). E in breve tempo Hoffman diventa una delle icone dei figli dei fiori, una comunità dove il misticismo di stampo orientale e l’idea della stimolazione «artificiale» della creatività si mescolano all’utopia di cambiare il mondo attraverso l’amore, trasformando San Francisco in una sorta di città-paradiso agognata da ogni adolescente. Nascono night clubs con luci caleidoscopiche come quello del disc-jokey Tom Donahue o il famigerato Long Shoreman’s Hall, dove per riprodurre in musica lo stato mentale alterato dagli acidi, giovani band chiamate Great Society, Charlatans, Jefferson Airplane impiegano strani sintetizzatori, amplificazioni mostruose, feedback e clavicembali. Nei loro lunghissimi e sballatissimi concerti, gli alfieri dell’acid rock appaiono come l’incarnazione di tutto ciò che l’estate dell’amore ha confusamente promesso di piacevole, fascinoso, consapevole e alternativo.
In molti, sotto l’effetto dell’lsd, sognano. Tra loro i Beatles, che disegnano un mondo in cui coabitano il vaudeville e Alice nel Paese delle meraviglie, l’Esercito della salvezza e strane figure che prendono vita dai cartoni di cornflakes della Kellogg’s. In molti, poi, muoiono. È uno degli effetti collaterali della droga, con buona pace di Ken Kesey e del dr. Leary.
Hoffman, no. Non si è fatto fregare da un’illusione, ma semplicemente da un infarto dopo aver passato il secolo. Quando della sua scoperta si appropriarono certi discutibili stregoni, se ne andò in Messico assieme alla moglie alla ricerca di una pianta chiamata Salvia divinorum. Per il suo centesimo compleanno rilasciò un’intervista al New York Times in cui confessò la sua irritazione nei confronti del movimento hippie degli anni Sessanta.

«L’lsd era stato usato con successo per dieci anni in psicanalisi, prima che lo proibissero a seguito di tutto quel putiferio», aveva commentato, aggiungendo che «l’uso che ne ha fatto Timothy Leary è stato criminale». Da molti anni non sperimentava più l’acido su se stesso: «Lo conosco e non c’è più ragione che io lo assuma. Magari, in punto di morte, lo riproverò, come ha fatto Aldous Huxley».
Non ha fatto in tempo.

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