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Honduras, il golpe evitato per un pelo

La crisi politica del paese con i due presidenti, uno deposto l'altro golpista, sembra essere definitivamente archiviata: dopo mesi di trattative, con la decisiva mediazione americana, Manuel Zelaya e Roberto Micheletti hanno trovato in Honduras un accordo che prevede tra l'altro elezioni presidenziali e legislative il 29 novembre.
L'intesa che ha sbloccato la crisi innescata con il colpo di stato del 28 giugno - quando i golpisti di Micheletti portarono via Zelaya, in pigiama, dal palazzo presidenziale e lo trasferirono in aereo in Costa Rica - è riuscita a riportare sui giusti binari la situazione politica nel piccolo paese centroamericano. A seguire, e gestire, minuto dopo minuto le trattative è stata l'amministrazione Usa. E infatti, le notizie provenienti da Tegucigalpa sono subito state accolte molto positivamente dal segretario di Stato, Hillary Clinton, che non ha esitato a definire «storico» l'accordo.
Dopo un braccio di ferro durato quattro mesi, a Tegucigalpa è stato quindi trovato il meccanismo che spiana la strada, anche se con qualche difficoltà, al ritorno al potere di Zelaya (fino alle elezioni di fine novembre): questione che sarà sottoposta al voto del Parlamento locale. Proprio questo era il punto sul quale negli ultimi giorni si erano arenati i negoziati. Dopo l'intesa, negli ambienti vicini a Zelaya, che dal suo avventuroso rientro in patria più di un mese fa si trova nell'ambasciata brasiliana di Tegucigalpa, c'è comunque una sensazione di sollievo, anche se i suoi sostenitori sono ben coscienti del fatto che l'effettivo ritorno al potere del presidente prevede un iter istituzionale complesso e che potrebbe nascondere qualche trappola, non solo per il delicato passaggio parlamentare. «Il mio governo - ha infatti puntualizzato Micheletti - è d'accordo sul fatto» che il ritorno alla presidenza di Zelaya «sia votato in Parlamento, dopo l'opinione che verrà data al riguardo dalla Corte suprema di giustizia». Diversi analisti di Tegucigalpa ricordano che prima del golpe fu proprio tale Corte a chiedere ai militari di spodestare Zelaya, accusandolo di aver violato la Costituzione. Lo stallo delle ultime settimane è comunque ormai superato. In una cerimonia definita «storica» da alcuni media locali, le forze armate hanno per esempio affidato alle mani della Corte elettorale «il controllo e il trasporto del materiale elettorale» in vista del voto.
Di fatto, ed è questo il significato politico dell'evento, 30 mila uomini (tra soldati, ufficiali e poliziotti) si sono messi a disposizione del Tribunale. A dare una spinta chiave alle trattative è stata la missione a Tegucigalpa dell'inviato della Clinton, il sottosegretario di stato Usa, Thomas Shannon, che oggi da Washington ha sottolineato che quello in corso in Honduras deve essere «più che un accordo politico», visto che «tutti i partiti e i settori» della società devono essere coinvolti in tale processo.

In attesa che si pronunci il Parlamento di Tegucigalpa, Washington sta in altre parole già guardando alle elezioni di fine novembre.

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