Ama la Franciacorta, la terra dei suoi antenati tra Brescia e la costa orientale del lago d'Iseo. Ma ama anche la famiglia, i vigneti e il buon vino, la qualità della vita, gli alberghi a cinque stelle, le barche a vela, le auto d'epoca, il gusto del bello, il cibo, l'innovazione, l'edilizia industrializzata che gli ha permesso all'inizio di fare i soldi in quanto è stato uno dei primi ad applicarla. E ama i sogni che riesce a realizzare perché non si tira mai indietro. Così Vittorio Moretti, che da giovanotto faceva di giorno il magutt, il manovale, e di sera frequentava una scuola professionale per diventare capomastro, in più di trent'anni ha varato una serie incredibile di iniziative, dalle tenute alle strutture per l'ospitalità, dai centri commerciali ai cantieri navali, dai campi da golf al Cuvée Bellavista che rivaleggia con i migliori champagne francesi. «Tante cose belle», ammette. Ma, riconosce, «mi considero sempre un costruttore. Un imprenditore delle costruzioni».
Ritorno alle origini. Originario di Firenze in quanto il padre, un capomastro, si era trasferito nella città toscana per dirigere la filiale dell'Eternit, Vittorio Moretti è del 1941. Anzi, il 28 aprile 1941, quindi la prossima settimana compirà 65 anni. È il secondo di quattro fratelli: Nicola, il più grande, è anche lui tornato in Franciacorta e fa il geometra; Tina insegna arte, Rita, la più giovane, si occupa dell'amministrazione nelle aziende di costruzioni del fratello. Nel 1943 la famiglia Moretti lascia Firenze e si trasferisce ad Erbusco, in provincia di Brescia, che è il paese natale dei genitori e dei nonni. Ma cinque anni più tardi, nel 1949, cambia di nuovo e va a Milano dove papà Moretti mette in piedi anche una piccola impresa edile. Vittorio resta diciotto anni a Milano. Lavorando nei cantieri con il padre. Finché a metà degli anni Settanta costruisce ad Erbusco una casa per la zia, una villetta iniziata in agosto e terminata a tempo di record in dicembre, lavorandoci anche il sabato e la domenica. Ma proprio nella costruzione di quella villa gli esplode l'amore per la sua terra. Racconterà: «Sono toscano per nascita, milanese per formazione, franciacortino per scelta». A dire il vero gli esplode anche l'amore per una ragazza della zona, Mariella Bertazzoni, che nel '67 diventa sua moglie. Decide così di lasciare il padre e Milano e di avviare ad Erbusco una propria attività nel settore dell'edilizia industrializzata, comprando con le cambiali un terreno di 15mila metri quadrati, dando lavoro a una trentina di persone e puntando su un elemento innovativo per quegli anni e quindi con un'alta probabilità di successo: il prefabbricato.
Bersaglio centrato. Sono anni che lui stesso ricorderà di «vita impossibile». Nel senso che si dà da fare come un matto, passa spesso notti insonni per i debiti ma investe nel lavoro ogni lira che guadagna. Affianca così la prima azienda, la Moretti Spa, con altre imprese nel settore (otto in totale) in modo da avere un ciclo produttivo completo per realizzare e installare strutture prefabbricate per medi e grandi progetti. E nel 1974 si ritrova ad essere, dirà, «un uomo ricco». In quel periodo, quando il rischio del sorpasso dei comunisti nei confronti della Dc spinge chi ha soldi a portarli in Svizzera, lui si muove controcorrente: compra poco fuori Erbusco una manciata di ettari di terreno con l'idea, dice, «di costruirci la casa con a fianco la cantina e fare del buon vino da condividere con gli amici». È su quel pezzo di terra che Moretti mette le basi del progetto delle cantine Bellavista, dal nome della collina: fare vini spumanti di qualità.
Lincontro con lenologo. Impianta così i vigneti su unarea che via via raggiunge i 164 ettari, nell'80 conosce un enologo, Mattia Vezzola, che da allora è con lui, per capire come si fa ad avere del vino eccellente va in Borgogna e in Champagne a vedere cosa hanno realizzato i francesi. Dice: «Non mi considero un vignaiolo, inizialmente facevo il vino per il piacere di bere un buon bicchiere. Ma in Francia ho capito che è tutta una questione di terra. Da loro si fa una grande fatica a fare il vino, da noi è invece più semplice. E per venderlo, i francesi si sono inventati gli châteaux. Ecco, io ho copiato».
Qualche volta copia, qualche volta aguzza l'ingegno ma sempre con un obiettivo fisso: la grande qualità. Al contrario dei concorrenti utilizza le presse tradizionali che però danno anche un 20% in meno di resa, ricorre alla selezione manuale, è tra i promotori del Consorzio Franciacorta che in totale ha meno di 2mila ettari di vigneto, un quindicesimo della Champagne, e quindi, dice, «ha il problema di crescere fino ad arrivare a 10mila ettari se non vuole restare marginale nel mondo del vino». Su progetto dell'architetto americano Pete Dye trasforma poi una cava d'argilla nel Franciacorta Golf Club con un percorso da 18 buche e un altro da 9; è il primo a portare nelle cantine il sistema del prefabbricato realizzandone nel tempo più di cento in tutt'Italia; fonda a fianco delle sue aziende edili il cantiere navale Maxi Dolphin da cui escono splendide imbarcazioni a vela: scafi in vetroresina, attrezzature in carbonio e teak massiccio in coperta. Nel 1991 dà quindi vita, restaurando una fornace di fine Ottocento, allazienda vitivinicola Contadi Castaldi che diventa nel settore una delle realtà più dinamiche della Franciacorta ottenendo un prodotto di nicchia di grande successo, il Satèn. E due anni più tardi apre, a due passi dalle cantine Bellavista, l'Albereta, un albergo esclusivo che oggi fa parte della prestigiosa catena Relais & Chateaux, con 57 camere arredate in maniera diversa l'una dallaltra. C'è persino una camera con il soffitto che si apre completamente premendo un bottone e lascia chi è disteso sul letto nella contemplazione del cielo stellato.
Per il ristorante dell'albergo Moretti chiede un parere a Gianni Brera, suo grande amico. E salta fuori il nome di Gualtiero Marchesi il quale ad un certo momento lascia Milano e si trasferisce in Franciacorta, dando pregio con la sua cucina alla struttura alberghiera. Arriverà anche un'altra grande firma: lo spazio dedicato al benessere verrà infatti affidato all'esperienza di Henri Chenot.
Terra Moretti. Qualche anno più tardi Moretti approderà anche in Toscana. Dapprima acquisendo a Suvereto, in provincia di Livorno, un'azienda per produrre vini rossi, ribattezzata Petra e realizzata dall'architetto Mario Botta. In seguito riproponendo in Maremma il modello de L'Albereta con l'acquisizione a Castiglion della Pescaia della tenuta La Badiola, antica dimora del Granduca di Toscana, in partnership con il gruppo francese di Alain Ducasse, lo chef più premiato del mondo, e quello italiano di Martino de Rosa: 500 ettari comprensivi di vigneti, uliveti e foresterie riconvertite in un albergo di lusso, L'Andana, in un altro tempio dell'alta cucina e in un campo da golf.
È davvero vulcanico questo Moretti, capelli tagliati corti, volto tagliato con l'accetta, incapace di stare con le mani in mano al punto che, anche quando si trova in vacanza in Sardegna, riesce a trasformare casa sua in ufficio. Apre ai manager l'azionariato delle diverse imprese edili. Costruisce ad Erbusco il centro commerciale Le Porte Franche. Colleziona auto d'epoca tra cui una sua vecchia passione, una Dino Ferrari del 1955. Si inventa anche il premio giornalistico Bellavista Franciacorta e il premio di scultura Terzo Millennio. E dà il nome Terra Moretti alla holding di famiglia che controlla le attività del gruppo, 650 dipendenti, fatturato consolidato di 73 milioni di euro, export del 20% grazie solo al vino.
Insieme a lui, legate da un patto di famiglia elaborato da Alfredo Ambrosetti, le tre figlie: Carmen, 1968, architetto mancato, sposata con Martino de Rosa e madre di due figli, è vicepresidente del gruppo ed è responsabile della divisione hôtellerie e delle strategie di comunicazione; Francesca, 1974, futura enologa, segue Petra; Valentina, 1982, studia invece architettura in Svizzera nell'università fondata da Mario Botta. Dice Moretti: «Il patto ha regole precise che privilegiano l'unità della famiglia. E quando avrò settant'anni comincerò a ritirarmi».
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