Roma - Starlo a sentire, mentre parla l’inglese upper class con dizione da attore che ha studiato a Oxford, è carezza per le orecchie. Guardarlo, piuttosto belloccio e nevrotico quanto basta ad attrarre le signore nel suo trappolone, è gioia per gli occhi. E allora com’è che Hugh Grant, la star internazionale quarantaseienne ora protagonista della commedia di Marc Lawrence Scrivimi una canzone (da domani nelle sale), invecchiando somiglia alla versione carina di Stanlio, il partner magro di Ollio? Saranno i capelli strapazzati all’insù, la bocca che fa mille e una smorfie da (finto) timido, l’inglesità stralunata oppure il fatto che quest’attore leggero per eccellenza, condannato alla frivolezza dal successo di Quattro matrimoni e un funerale (1994), Notting Hill (1999) e Il diario di Bridget Jones (2001) è un rubinetto spanato dalle platee rosa e dunque si avvita su un’autoironia querula?
«È dietro l’angolo il giorno in cui, da ex-divo, mi verranno a vedere solo donne attempate», scherza lui, che stavolta è nel ruolo d’un cantante pop, famoso negli anni Ottanta, ma infine ridotto a lavorare per un pubblico di nostalgici. Naturalmente l’interprete, che nella vita vera ha collezionato fidanzate bellissime (dalla modella Liz Hurley all’ereditiera Jemima Khan, appena lasciata perché pretendeva la fede al dito), è tutt’altro che una vecchia gloria. Tant’è che nel garbato mélo di Lawrence, qui alla seconda prova con Grant (dopo Two Weeks Notice - Due settimane per innamorarsi), lui gigioneggia non poco come popstar dimenticata, ma sempre in gamba. Anzi, in anca, perché è proprio quella sua mossa alla Simon Le Bon, quand’era leader dei Duran Duran (una delle prime boy-band a sdoganare la diversità sessuale nella sfera della pop-music) il marchio d’epoca, che attrae le più stagionate alla «Festa della raccolta delle mele». Hugh è ancora assistito dal suo fisico e lo sa, ma qui finisce a letto con una giardiniera interpretata dalla trentunenne Drew Barrymore, che sarà pure brava (viene da una famiglia di attori, il cui capostipite fu John Barrymore), ma di profilo mostra una scucchia imbarazzante. Siamo lontani anni luce dall’accoppiata vincente con la deliziosa Julia Roberts di Notting Hill e la differenza si sente.
Tra la popstar in crisi e la ragazza che gli innaffia le piante, comunque, l’amore esplode grazie all’abilità di paroliera di lei, svelta di rima e di cervello. La cantante del momento, Cora (la debuttante Haley Bennett, ninfetta di talento a metà strada tra Britney Spears e Nicoletta Romanoff) vuole una nuova canzone e Alex, la meteora degli anni Ottanta che vuol risalire la china, gliela darà. Dovesse fare l’alba al pianoforte, mentre i grattacieli della Grande Mela si tingono di rosa.
«Non sono portato per la musica: dover cantare e ballare è stato un incubo. Ma ho avuto insegnanti, che mi hanno addestrato come si allena una foca per il circo e, alla fine, ho gradito l’idea», spiega Hugh, che ora, dopo aver inventato fiabe e storielle per i figli della sua ultima ex, vuol scrivere un libro. «È buffo: l’album che ho inciso, in occasione del film, è in cima alle classifiche Usa. Diventerò una popstar come Justin Timberlake!», si schermisce l’attore, che qui canta Love Autopsy, con rime baciate quasi assurde e altre canzonette orecchiabili. «Per prepararmi al personaggio, ho fatto esperimenti sull’impostazione della voce, prima cercando d’imitare un’intonazione alla Mick Jagger, poi tornando alla mia personale», rivela l’attore, che tra i suoi film ama soprattutto About a boy, mix di tristezza e umorismo dei fratelli Weitz. «Girare commedie è deprimente, soprattutto per i tempi morti.
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