Dopo i bambini, anche gli storpi Nuova inchiesta sugli affari rom

Indagine della Procura sul clan che schiavizza gli invalidi Un business che, con prostituzione e droga, vale 900mila euro al mese

La ragazza è giovane. Cammina tra le macchine, trascinando il corpo segnato dalla poliomielite. La malformazione non è un difetto. È business. Qualche centinaio di metri più avanti, un uomo esibisce il braccio a cui un incidente ha portato via la mano. Sono loro, insieme ad altre decine di connazionali, a ingrossare le file dei disperati che arricchiscono le organizzazioni criminali. Rom che sfruttano altri rom. Migliaia di euro elemosinati ai semafori che finiscono delle casse del clan. Non ci sono solo i bambini-schiavi, come hanno documentato i 19 arresti eseguiti martedì dagli agenti della Squadra mobile. C’è anche il racket degli invalidi, un’altra gallina dalle uova d’oro. Un fenomeno su cui, ormai da diversi mesi, ha aperto un’inchiesta la Procura.
Il fascicolo nasce da un minuzioso lavoro di indagine svolto dai carabinieri del Nucleo informativo. Al centro dell’interesse degli inquirenti è il clan che fa capo a P.S., 65 anni, al vertice di una potente e strutturata famiglia di etnia rom che da Costanza in Romania è sbarcata a Milano per gestire il traffico degli «storpi». Anziani, invalidi, handicappati, mutilati. Schiavi costretti ad esibire le proprie deformità in strada per consegnare ai propri carcerieri almeno cento euro al giorno tutti i giorni, soglia minima per evitare la «rappresaglia». È lo stesso metodo applicato ai bambini: o sono soldi, oppure la punizione. In cambio, vitto e alloggio in qualche insediamento abusivo di Milano, oltre a una minima «stecca» come ricompensa. All’incirca, cento euro per un mese di umiliazione.
Un’organizzazione, quella controllata da P.S., che in città ha collocato le proprie vittime in alcuni dei campi nomadi dell’hinterland, a Chiaravalle, in via Lorenteggio, in via Bisceglie, e che - passando attraverso una breve «guerra» con un clan rivale - è arrivata a controllare la porzione nord-ovest della città: viale Zara, cimitero Monumentale, corso Sempione. Un’altra parte del gruppo resta in Romania, da dove i futuri sfruttati sono oggetto di reclutamento. Il sistema prende due strade. O attraverso il miraggio del benessere italiano, o con un vero e proprio mercato. Nel primo caso, chi vuole arrivare a Milano è costretto a contrarre un debito con il gruppo criminale, a quel punto proprietario del nuovo schiavo. Che, almeno in linea teorica, una volta saldato l’impegno viene lasciato libero. Nel secondo caso, invece, si procede a un acquisto. Perché un invalido si può comprare. Da mille a tremila euro in contanti, un costo direttamente proporzionale alla visibilità della malformazione. Un investimento che, trasferito a Milano, genera un’enorme ricchezza. Secondo gli investigatori, infatti, il giro d’affari del clan raggiunge la cifra di 900mila euro al mese, considerando anche il racket della prostituzione, dello sfruttamento minorile, e della droga.


Perché il denaro accumulato a Milano, a Milano viene rimesso in circolo. Il traffico di cocaina moltiplica i profitti. Trasferito in Romania, invece, viene reinvestito per costruire ville, comprare palazzi e macchine. Per vivere in un lusso gonfiato dalla compassione da semaforo.

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