Con i Beach Boys ha surfato sulle note del sogno americano

È stato l'inventore di sonorità e melodie perfette. Ha convissuto con problemi psichiatrici per anni

Con i Beach Boys ha surfato sulle note del sogno americano
00:00 00:00

Era da giorni che giravano sui social foto che lo ritraevano non in forma olimpica, soffriva di una malattia neurodegnerativa dal 2004. Eppure, pareva che l'appuntamento con la storia per uno come Brian Wilson, che aveva più volte flirtato con la morte, fosse stato rimandato a data da destinarsi.

Nato nel 1942 nell'assolata California, croce e delizia della sua mente complicata, Brian soffrì insieme ai fratelli minori Dennis e Carl maltrattamenti a opera di un padre violento. E, come molti geni, sublimò nell'arte le sofferenze dell'infanzia. La sua creatura, i Beach Boys, un concentrato di entusiasmo All American e armonie vocali da doo-wop, finì per inanellare una serie incredibile di successi sulle ali di melodie semplici e testi di fortissima presa sui teenager bianchi. E Brian fu il cervello e il perno della band che, insieme ai fratelli, vantava anche la presenza del cugino Mike Love e dell'amico Al Jardine. Il debutto avvenne nel 1961 e la band si fece notare con i singoli Surfin' e Surfin' Safari.

Brian Wilson aveva fatto propria la lezione di Chuck Berry, un vero innovatore in grado di portare tematiche care ai giovani nel rock'n'roll, poi sfruttate dagli epigoni bianchi. Il surf come metafora di vita dei teenager californiani, belli, bravi e speranzosi fu solo un collante di passaggio: la forza erano i testi innovativi e, soprattutto, le armonie vocali di presa immediata, nel solco della tradizione della musica americana bianca ma con una punta di genialità che da subito il mondo del pop riconobbe ai Beach Boys e, soprattutto, al loro indiscusso leader musicale.

Si sarebbero sbagliati quei critici che dichiararono che l'esperienza dei Beach Boys sarebbe stata effimera e non avrebbe lasciato traccia. I singoli Surfin' U.S.A. (un omaggio diretto, ma rivolto a un pubblico di ragazzi bianchi, alla rivoluzionaria Sweet Little Sixteen di Chuck Berry), Little Deuce Coupe e California Girls (con una intro degna di una sinfonia mozartiana) erano tutto fuorché svenevoli canzonette.

Ma poi i Beatles varcarono l'Atlantico e nulla fu più come prima. Brian Wilson incassò malamente il colpo soprattutto perché convinto di avere un asso nella manica in grado di far impallidire persino i quattro di Liverpool alle soglie della loro fase di sperimentazioni con suoni esotici e sostanza lisergiche: Pet Sounds del 1966 anticipò di qualche mese lo straordinario Revolver dei Beatles, ma fu l'uscita di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band l'anno seguente a mandare all'aria i sogni di gloria di Brian Wilson. La leggenda vuole che abbia distrutto i nastri di Smile, il nuovo disco ormai pronto, dopo aver ascoltato il capolavoro dei Beatles. La realtà è meno prosaica: droghe in abbondanza e depressione imposero al genio californiano un dazio pesantissimo da cui non si sarebbe mai ripreso tanto che la presenza inquietante di uno strizzacervelli fisso a casa sua ne fece una barzelletta del pop.

Non c'è da ridere, semmai da restare a bocca aperta, invece, ascoltando la maestosità di brani come Good Vibrations e God Only Knows, perle di assoluta bellezza senza tempo, uniche nella loro originalità sonora e melodica.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica