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Per i big azzurri un’estate di «missioni impossibili»

Per i big azzurri un’estate di «missioni impossibili»

da Roma

Prima ha agito la diplomazia sotterranea azzurra. Quando Pierferdinando Casini ha lanciato il suo attacco sulla leadership della Casa delle libertà e Marco Follini ha fatto capire che stavolta non si scherzava, Silvio Berlusconi ha mosso i suoi uomini migliori per cercare di recuperare il dissenso centrista prima che fossero compiuti passi irrecuperabili. Lo ha fatto discretamente, adottando la linea del silenzio di fronte alle provocazioni dell’Udc e raccomandando ai colonnelli di Fi di tenere i toni bassi. Sperava che i numerosi tentativi di Gianni Letta, Marcello Pera e Giulio Tremonti ammorbidissero le posizioni degli alleati diventati all’improvviso (ma in realtà alla fine di una lenta escalation di tensioni) dei nemici interni.
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, mediatore per eccellenza, si era messo in moto già da tempo per capire che cosa in realtà volessero i dirigenti di via Due Macelli. Parallelamente, agiva il presidente del Senato che con il suo omologo alla Camera ha sempre avuto un buon rapporto. E anche il vicepremier Tremonti ha fatto la sua parte.
L’interlocutore, in questa fase, è stato principalmente Casini. Con lui il Cavaliere contava di arrivare a un accordo, senza far divampare apertamente le divisioni nel centrodestra. E poi, tutto faceva pensare che fosse proprio Pier il vero candidato dell’Udc alla successione di Berlusconi. Ma il numero due di Montecitorio ha ribadito a tutti i suoi interlocutori la richiesta di «discontinuità», traducendola innanzitutto con l’esigenza di un passo indietro da parte di Berlusconi, per far posto a un altro candidato alla guida della coalizione. A questo punto, la situazione era quella di «separati in casa».
Al premier intanto ribadivano il loro sostegno An e Lega e se gli uomini del Carroccio erano proprio gli ultimi da impiegare in tentativi di dialogo con l’Udc, soprattutto per la pietra dello scandalo della devolution, il vicepremier Gianfranco Fini indossava i panni del mediatore per far pesare su Casini e Follini anche le pressioni del suo partito, prima e dopo l’incontro in Sardegna con il Cavaliere. Da villa Certosa di Porto Rotondo Berlusconi tesseva intanto le fila di nuove alleanze con Alternativa sociale di Alessandra Mussolini, la Dc di Gianfranco Rotondi, gli autonomisti siciliani di Raffaele Lombardo, pezzi dei radicali. Anche questo, forse, poteva pesare nella strategia di dissuasione dell’Udc.
Invece, da via Due Macelli, nessun segnale di distensione. È partita così la seconda fase: quella della trattativa ufficiale. O, almeno, del tentativo di aprirla. Con Follini Berlusconi ha ormai un rapporto logorato, dopo la rinuncia alla vicepresidenza del Consiglio e non ha voluto incontrarlo di persona: ha invece inviato ad Ansedonia il coordinatore nazionale Sandro Bondi. È il 26 agosto e si sta chiudendo un mese di fuoco per i rapporti tra Udc e Fi. A Follini Bondi cerca di offrire tutto il possibile, in materia di visibilità dei centristi nella Cdl, di collegi, di peso decisionale nella strategia del polo. L’incontro si risolve ugualmente in un flop: l’Udc insiste nella richiesta di totale cambiamento.
Nella stessa giornata, Fini trova il modo di parlare al Meeting di Cl a Rimini con il governatore azzurro della Lombardia. Da sempre, per il Cavaliere, Roberto Formigoni rappresenta il possibile antagonista in Fi e lo si è visto con il braccio di ferro alle ultime regionali sul divieto delle liste personali. Quando proprio dall’Udc, per bocca di Rocco Buttiglione, viene avanzata la sua candidatura a premier si teme il tradimento. Ma sia il diretto interessato che Fini tranquillizzano il Cavaliere su questo fronte. E così fa il ministro azzurro Claudio Scajola. Il giorno dopo l’insuccesso di Bondi c’è anche il tentativo del vicepresidente della Camera, Alfredo Biondi, con Casini. Una lunga telefonata, ma anche stavolta senza alcun segno di ravvedimento. Solo, la promessa di nuovi incontri.

Ora, dopo l’outing di Follini a Telese, gli spazi per la diplomazia sembrano sempre più ristretti.

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