I canguri: «Ma il nostro sport è il rugby...»

Si consolano: «Voi siete tecnici, noi ci mettiamo il cuore»

Giacomo Susca

Davanti al loro pub preferito, si riconoscono al primo sguardo. Segue abbraccio con schiamazzo: «Darling, how do you do?». Siamo al «KB», birreria in zona Città Studi, pochi minuti prima della partita: i ragazzi australiani si ritrovano a Milano. In un altro emisfero, agli antipodi da casa, raccolgono l’entusiasmo e l’orgoglio di una comunità che ha atteso a lungo questo pomeriggio di sport. Tanto i Mondiali sono un pretesto, quello che conta è la sfida con la città che li ha ospitati e ha finito per adottarli. Bresciano e Grella, i connazionali della serie A, sono presi a esempio. Almeno per due ore, Patrick smetterà di essere «lo straniero» dell’ufficio e Kate non dovrà sforzarsi di fare amicizia ad un «Erasmus party». Ma soprattutto, nessuno farà loro domande sui canguri.
Dentro, i gestori del «KB» hanno applicato la par condicio del megaschermo. In una sala, composta telecronaca in inglese per i tifosi dei «socceroos»; nell’altra, la parlantina di Fabio Caressa ipnotizza i coraggiosi italiani presenti. La divisione dura poco e la gente si mischia, perché «senza sfottò non c’è gusto». Una pinta di birra e tutti pronti per gli inni. Nel locale risuona la lingua di Sua Maestà Elisabetta II e il colore dominante è il giallo-verde degli uomini di Guus Hiddink, il mago giramondo che ha contagiato gli australiani. Tra i tavoli comincia il festival della falsa modestia con ritornelli dal repertorio mettiamo-le-mani-avanti: «Voi siete più bravi», «Il nostro sport è il rugby», «Italiani tecnici, noi ci mettiamo il cuore», e sviolinate simili. L’aveva detto ieri Lippi: questi simpatici australiani fanno i furbetti. Infatti il match è più equilibrato che mai, e loro giustamente ci credono. Se Viduka e compagni si avvicinano alla porta di Buffon, si alzano di scatto e imprecano per l’occasione perduta. Se è Toni a fallire il gol, esultano come sugli spalti del Sei Nazioni.
Nell’intervallo le tifoserie contrapposte dal pallone si trovano decisamente d’accordo sul piano alcolico: «Un’altra bionda media, please!». Richard, srotola sulle spalle la sciarpa dell’Australia. L’anno scorso è stato a Milano per lavoro, se ne è innamorato, ed è tornato questa settimana a trovare un’amica. «Chi l’avrebbe detto che avremmo giocato proprio contro di voi?», si chiede sorridendo. Già, chi l’avrebbe detto: ancora 0-0.
Il secondo tempo è una battaglia a colpi di emozioni. L’Italia perde Materazzi (espulso) tra gli ululati «nemici», in compenso nel locale aumenta la rappresentanza nostrana grazie ai fuggitivi della scrivania. Che si ritrovano a prendere lezioni di calcio dal vicino di sedia nato a Sydney, che espone i tratti della «famosa» scuola oceanica. Sembra un’altra Corea. Loro, a un secondo dal traguardo, pregustano i supplementari e sognano i rigori. Ma di rigore ce n’è solo uno: quello di Totti, che è come un golden gol.


Dopo ’94 di sofferenza, ai milanesi in trasferta in Australia è tornata la voce: «Adesso tornate a casa!». Il popolo australiano, sotto shock, tace. Poi qualcuno prende l’argomento arbitri. Era meglio parlare di canguri.

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