Politica

I CATTIVI AFFARI DEL PREMIER

Ma in che Paese viviamo? Si è chiesto ieri Marco Tronchetti Provera, ex numero uno di Telecom. E oggi, semplicemente, suo maggiore azionista attraverso Pirelli. Ma in che Paese viviamo? ci chiediamo noi. Viviamo in un Paese che vede uno dei suoi uomini più potenti, azionista di televisioni e giornali, con centinaia di milioni di euro in banca per stock option che nel passato si è autoelargito, costretto a chiedere aiuto. E per di più in una conferenza stampa. Non siamo qui a difendere il «ricco signore», come si è autodefinito, per un particolare spirito di condivisione delle sue «sciagure». Anzi non ci interessano affatto. Siamo qui, perché conosciamo questo lezzo. Siamo qui perché sappiamo cosa voglia dire entrare in quel vortice di cui oggi è vittima Tronchetti e che ieri lo vedeva indifferente. Siamo qui perché capiamo perfettamente cosa voglia dire l’anonima denuncia che Tronchetti fa contro una certa «zona grigia» interessata a mestare nel torbido. Siamo qui perché sappiamo cosa vuol dire rispolverare vecchi conti in Svizzera o a Montecarlo, e crearci attorno misteri di irregolarità e ipocriti non detti di ladrocini. Siamo qui perché sappiamo quanto una certa politica possa danneggiare l’impresa.
In un Paese civile la grande impresa deve avere un rapporto con l’esecutivo. È normale che ciò avvenga. Ma la relazione non si può limitare al solo ossequioso bacio della pantofola. Il cattivo odore della vicenda Telecom è in questo. Non vi fate ingannare dallo scandalo delle intercettazioni. Esso è grave, senza dubbio. E non vi fate ingannare, tanto meno, dalle questioni finanziarie e patrimoniali di Telecom: esse sono perfettamente gestibili. Non si tratta di un caso Parmalat (questa sì tenuta in piedi dalla «buona» frequentazione del Palazzo).
Il nocciolo della questione è che, per quanto debole, questo esecutivo ha la forza di condizionare le sorti dei vertici di un’azienda come Telecom. È la forza del burocrate, che non firma la carta al ministero. O la ragione del sindacato che blocca la riorganizzazione. Pensate che ci sia qualche manager che in Alitalia possa fare come Tronchetti? Magari urlando che gli scioperi in corso lo stanno distruggendo. O qualcuno si può immaginare i vertici di aziende con Enel, Eni o Finmeccanica (con parte del capitale ancora in mano al Tesoro) che non concordino da questo momento in poi tutto con Palazzo Chigi? Pura fantasia. Il caso Telecom è tutto qua. In questo devastante segnale che la presidenza del Consiglio fornisce al mercato: operazioni contro il nostro volere no pasaran.
Il primo segnale si è avuto ad inizio legislatura: con il blocco all’operazione tra Autostrade e gli spagnoli di Abertis voluto dall’esecutivo di Prodi. Dietro alla buffonesca etichetta dell’interesse pubblico e della rilevanza nazionale, il neostatalismo prodiano mette la bocca e le mani su tutto. Verrebbe voglia di chiedere al governo quali siano i settori dell’economia nazionale liberi dal loro interessamento.
Quello che succede è che a Palazzo Chigi siede un premier senza partito (e probabilmente senza maggioranza). E le cui uniche truppe sono quelle che si è garantito negli affari. Ecco perché per Prodi e i suoi Iri-seniors occorre non perdere d’occhio e condizionare anche il minimo dettaglio della corporate Italia. Tronchetti se ne è accorto.

E tanti prima di lui.

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