I commercianti e la grande bugia dell’evasione fiscale

Fu una legge ad personam quella che obbligava l’installazione dei registratori cassa fiscali agli esercenti, entrata in vigore nel gennaio del 1983 votata da tutto il Parlamento, promossa dal ministro Visentin, allora presidente della Olivetti, che li fabbricava. La legge (che non esiste in Europa) imponeva i registratori cassa ai commercianti che superavano i 200 milioni di lire di ricavi annui, ma due anni dopo venne estesa anche per i ricavi dai 18 ai 30 milioni. Un marchingegno del costo di circa due milioni e mezzo di lire da acquistare, non dato a noleggio, e che i piccoli negozi non potevano sostenere. Per il mancato rilascio di uno scontrino fiscale per un quaderno, un paio di calze, un’aspirina o una mela, contravvenzioni da 300 a 900mila lire, valide ancora oggi, trasformate in euro. Nel 1986-’87 chiudevano 150mila piccoli negozi che consegnavano le licenze ai comuni. Restavano senza lavoro commercianti con figli in età scolare, senza cassa integrazione, tacendo con dignità e senza manifestazioni di piazza, non avendo un potente sindacato che avesse saputo proteggerli. Il commercio è l’unico settore in cui si è costretti ad acquistare in anticipo senza la certezza della vendita e senza stipendio fisso. Degli 850mila negozi in attività nel 1983, hanno chiuso più di 500mila negozi.

L’obbligo della contabilità ordinaria, la tassa sulla salute, le aliquote progressive, i registri fiscali obbligatori, il pagamento anticipato delle imposte hanno contribuito e permesso questo genocidio commerciale, come la grande bugia della supposta evasione fiscale.

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