I comunisti: intesa da respingere, non passerà

Cannavò e Turigliatto: «Voteremo contro anche se verrà posta la fiducia»

da Roma

Sconfitti chi, noi? Macché, dice Franco Giordano, «la questione è ancora aperta». Il segretario di Rifondazione, che ha la «base che ribolle» e qualche parlamentare già pronto a votare contro il governo, avverte che il braccio di ferro continua: «In queste settimane lavoreremo con la mobilitazione e in Parlamento, per cambiare il segno dello scalone e quest’accordo negativo e iniquo». Darà battaglia pure il Pdci. Oliviero Diliberto è «molto deluso», anche perché durante la trattativa non è stato mai consultato: «Da un governo di centrosinistra ci si aspetta di più. Dovrebbe essere sempre dalla parte dei lavoratori, invece aumenta l’età pensionabile con qualche inganno». «E non c’è nulla per i giovani - aggiunge Manuela Palermi -. In Senato faremo una lotta durissima».
Parole forti, perché forte è la delusione all’interno dei due partiti comunisti. Un malessere profondo che potrebbe avere qualche effetto sulla tenuta della maggioranza, che la prossima settimana affronterà le curve strette dei dibattiti sulla politica estera e sul Dpef. Intanto il deputato Salvatore Cannavò e il senatore Franco Turigliatto, rifondaroli della «Sinistra critica», annunciano la loro opposizione totale alla riforma previdenziale: voteranno no anche se verrà posta la fiducia. «Un disastro. La legge Maroni era addirittura meno peggio della controriforma Prodi-Damiano-Padoa Schioppa, i cui costi sociali sono forse più pesanti. Grave la capitolazione della Cgil, grave il comportamento dell’Unione, grave se il Prc sosterrà l’accordo». E il senatore Fosco Giannini parla addirittura di «truffa» a danno dei lavoratori. «Il governo di Prodi sta diventando peggiore di quello di Berlusconi. Il popolo di sinistra ci ha votato per cambiare le cose e non per essere colpito, ancor più di prima, dai padroni».
Aria pesante anche nella riunione di segreteria in viale del Policlinico. C’è chi vorrebbe uscire dal governo. Chi propone l’appoggio esterno. Chi, come Claudio Grassi, «Essere comunisti», sostiene che «Prodi si è piegato al diktat di Mario Draghi, della Bonino e della Confindustria». E c’è chi, come Ramon Mantovani, dice che «non siamo entrati nel governo solo per ottenere la riduzione del danno». Alla fine però esce vincente una linea un po’ meno barricadera. No a colpi di testa, no all’appoggio esterno, sì invece a una «mobilitazione vasta» del partito. La lotta continua sulla Finanziaria e la legge Biagi. In tutto però è sostanzialmente rimandato all’autunno. A settembre ci sarà il referendum sindacale sull’accordo e, verso ottobre-novembre, dopo le primarie del Pd, anche Rifondazione organizzerà delle consultazioni generali, delle «controprimarie», ponendo ai militanti una domanda precisa: dentro o fuori il governo? La risposta, che arriverà grosso modo quando sul tavolo ci sarà la manovra, sarà considerata «vincolante».
Insomma, resta «il giudizio fortemente critico» espresso pubblicamente da Giordano perché «gli effetti dello scalone Maroni sono solo diluiti». «Se avessimo fatto qualche sciopero in più - si lamenta Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro e uomo chiave del Prc nella trattativa -, avremmo portato a casa un risultato migliore». Ma, come dice Fausto Bertinotti, «la cosa più importante sarà il giudizio dei lavoratori».
Rifondazione, stretta tra le responsabilità di governo e la necessità di non perdere consensi nel suo bacino elettorale, punta dunque a prendersi una contropartita politica in occasione della Finanziaria. Tirerà la corda cercando di non spezzarla, come spiega Giovanni Russo Spena, capogruppo al Senato: «Su coefficienti ed esenzioni l’accordo presenta numerosi aspetti positivi e interessanti. Sull’abolizione dello scalone, invece, il nostro giudizio è drasticamente negativo.

In autunno ci impegneremo, nella società e in Parlamento, per modificarlo». E se i conti non tornano, conclude, è colpa dei riformisti: «Preoccupante è l’offensiva dell’ala più moderata dell’Unione, che ha inciso profondamente sulle scelte. Sarà necessaria una mobilitazione forte nel Paese».

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