Politica

I consigli di Sgarbi Caro Silvio, l’ira è libertà. Arrabbiati pure

Di tutti i vizi capitali l’ira è il meno insidioso e il meno pericoloso. Si manifesta in modo diretto, come una alterazione dell’umore, un’urgenza incontenibile di esprimere indignazione, intransigenza, perfino incredulità rispetto a ciò che appare incredibile o inaccettabile. Mentre l’invidia si può esprimere in forme subdole, e manifesta una palese minorità, l’ammissione di un limite rispetto al potere, alla riuscita, al successo di un altro, che si può non solo riconoscere con sofferenza, ma tentare di ostacolare, l’ira è l’onesta espressione di una rabbia per un disordine delle cose e del mondo. Io ne sono orgoglioso e la considero una forma di generosità, perfino di altruismo. Non ritengo nessuno indegno della mia ira. Non faccio il superiore e non faccio calcoli per punire chi sbaglia in modo improvviso e inatteso. Prevedibile e attesa è la mia ira, i cui confini possono talvolta spostarsi più avanti del previsto, ma sono sempre raggiunti e, attraverso l’ira, travalicati.
Apprendo oggi che un mio affine (mon semblable, mon frère) Silvio Berlusconi, esprime contenuto disappunto (devo immaginare, vista la materia, contenuto) per il titolo del Corriere della Sera di ieri, che gli attribuisce in comunione con Fini (forse questo, intimamente, lo irrita) ira per la mancata presentazione della lista del Pdl per le regionali del Lazio.
Se non ne ritenessimo logica e plausibile l’ira, dovremmo ammirarne un filosofico distacco, un aplomb anglosassone che, dopo lo squillo della prima del Corriere, sembra registrato nell’articolo in terza pagina: «Lo sconcerto del premier: la burocrazia non prevalga». E nell’occhiello: «E anche Fini non si capacita degli errori». Dunque sconcerto, incredulità, non ira.
Ma perché il premier si amareggi per l’attribuzione di una legittimissima ira, non aliena dal suo carattere, come si è manifestato in alcune invettive comiziali e in alcune memorabili conferenze stampa, resta misterioso. È stato aggredito in ogni modo, con epiteti ingiuriosi, è stato chiamato delinquente, corruttore, mafioso, e ha reagito in modi diversi ma senza sconfortarsi o sentirsi vittima di una insinuazione giornalistica; e oggi, dopo il fallo di Roma, non vuole essere detto iroso. È cosa, se no?
Perfino l’impeccabile e impassibile Fini deve avere avuto uno sbotto sgarbiano d’ira: il Corriere, enfatizzando gli attribuisce questa prevedibile riflessione, non da esprimere sottovoce: «È da fessi, da deficienti, da imbecilli, e chi più ne ha più ne metta, non presentarsi alle 9 di mattina per consegnare le firme necessarie alle liste». E invece Berlusconi si dice amareggiato perché si è evocata la sua ira. Vorrei dirgli: l’ira libera; è uno sfogo dopo il quale si può tentare di cercare una soluzione, e, perfino una giustificazione per chi ha sbagliato, ma questa soluzione non può uscire da una tranquillità indifferente e atarattica, da un distacco senza sfogo. Per questo non solo è umano ma non c’è nulla di male nella espressione motivata dell’ira.
Il Presidente del Consiglio non vuole apparire iroso, ma misurato, ponderato, composto, come il Presidente della Repubblica.
Io credo che, per quanto lo conosco, anche il Presidente della Repubblica sia iroso. In alcune occasioni l’ho visto tale anche contro di me.
Ma l’ira si può esprimere in due modi: interiormente ed esteriormente. E piuttosto che essa si manifesti come un tormento interiore, come di chi sbatte la testa contro un muro nel chiuso di una stanza, è bene che essa si esprima in modo rumoroso, come una tempesta o un temporale, per poi acquietarsi. Così che se si può dire che l’ira non è indegna del premier, si possa anche concludere che, nessuno è indegno della sua ira.

Per generosità.

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