Caro direttore,
ma in questo Paese qualcuno si è domandato quale siano le vere percentuali conseguite dai vari partiti nelle tredici regioni in cui si è votato?
Ai tempi della prima Repubblica, il ministero dellInterno era in grado di determinare con precisione quanti voti assoluti e quale percentuale ogni partito aveva conseguito a livello nazionale.
Nella seconda Repubblica, e non certo per colpa di Bossi, siamo nella situazione che per otto regioni ci si deve rivolgere al Viminale mentre le rimanenti cinque (Toscana, Calabria, Puglia, Campania, Marche) si sono elaborano i dati per conto loro.
Politici e politologi discutono e discuteranno di vittorie e sconfitte, ma chi ha certificato le percentuali vere?
Prendiamo, ad esempio, lUdc con la curiosità di sapere se la «politica dei due forni» è stata premiata dagli elettori: tutti hanno scritto che lo scorso anno nelle stesse regioni lUdc aveva conseguito il 5,8 per cento, ma, secondo il Corriere della sera del 31 marzo, il suo risultato «ponderato alle Europee» è il 6 per cento, secondo le proiezioni diffuse da tutti i media ha confermato nelle tredici regioni il 5,8 per cento, sommando, invece, con pazienza certosina, i dati del Viminale con quelli delle cinque regioni appare un 5,4 per cento, ossia 92.431 voti in meno di quelli che avrebbe dovuto avere per arrivare a 5,8 per cento.
Analoghe considerazioni si possono fare per gli altri partiti.
È troppo chiedere a qualche autorità indipendente di attestare i veri risultati, visto che su uno 0,1 per cento in più o in meno si ricamerà a lungo nel dibattito politico?
Sottosegretario
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