I copti dopo il massacro «Per gestire la moschea Milano si affidi al Cairo»

In città vivono circa 15mila cristiani d'Egitto, sono fratelli dei 21 decapitati in Libia dall'Isis «Non abbiamo paura, siamo nati con la croce»

I copti dopo il massacro «Per gestire la moschea  Milano si affidi al Cairo»

Non hanno paura, ma chiedono garanzie, anche a Milano. La storia delle comunità copta è segnata delle persecuzioni. E la barbara decapitazione di ventuno cristiani due giorni fa in Libia ad opera delle milizie dello «Stato islamico» non è che l'ultima tappa di questo calvario. Solo quattro anni fa oltre venti persone erano state assassinate da un attacco «kamikaze» davanti a una chiesa di Alessandria d'Egitto, il principale centro di questa antichissima comunità etnico-religiosa. I copti d'Egitto sono diversi milioni, il 10 per cento circa della popolazione, divisa fra una chiesa ortodossa, una cattolica e diverse confessioni protestanti.

A Milano oggi se ne contano 15mila, riuniti in una comunità solidissima e cementata al suo interno dalla comuni vicissitudini. Li rappresenta Magdi Faltas, ingegnere che da 25 anni vive a Milano e presiede anche l'Unione della Comunità Euro-egiziane in Italia. Le sue parole sono segnate dalle drammatiche vicende che si sono consumate in Libia: «È stato davvero un dramma per tutti noi - spiega - e non perché le vittime sono egiziani o cristiani. È una cosa micidiale, che non avremmo mai potuto immaginare e che oggi non possiamo sopportare. Ammazzare così delle persone, tagliare loro la gola, come se fossero agnelli, è una cosa mai vista. Avevamo visto le armi, i fucili, ma tagliare la gola a degli esseri umani con un coltello... non ci sono davvero parole». I cristiani d'Egitto sono orgogliosi della loro croce, portata con coraggio e spesso tatuata nella pelle. «Forse la maggior gloria della Chiesa Copta è la sua croce - scrive la Diocesi della chiesa copta ortodossa d'Egitto - I copti sono orgogliosi delle persecuzioni che dovettero sostenere fin dal martirio del loro Patrono San Marco». «La nostra Chiesa viene denominata Chiesa dei martiri». I copti parlano una lingua che discende dall'antico egizio e la parola «copto» significa in realtà semplicemente «egiziano»: dall'epoca della conquista araba, i musulmani l'hanno usata per designare gli egiziani, che all'epoca erano tutti cristiani. A poco a poco si è verificata l'identificazione della parola «copti» con la comunità dei cristiani. Per tutte queste ragioni i copti si considerano discendenti «dei faraoni» e dell'Egitto pre-musulmano.

«Oggi - dice Faltas - il popolo egiziano è unito, in gran parte unito, contro i terroristi. Noi che viviamo qui non abbiamo paura, non abbiamo mai avuto paura». Faltas rappresenta, nell'Unione delle comunità euro egiziane, i suoi connazionali di ogni religione. Ed è molto cauto e rispettoso quando parla delle comunità di religione musulmana. È chiaro che altri, invece, nutrono esplicite riserve sulla gestione della partita dei luoghi di culto fra Palazzo Marino e i centri islamici milanesi. E condividono la preoccupazione che le moschee nelle nostre città possano diventare luoghi in cui si predica l'odio.

«Al sindaco Pisapia - dice invece Faltas - io direi che la moschea va bene, ma deve essere data al ministro degli Esteri egiziano e all'università di Al Azhar del Cairo», cioè a una delle più importanti e ascoltate istituzioni culturali dell'Egitto. «Sarebbero persone fidate - spiega - e saremmo sicuri che nessuna parola sarebbe mai pronunciata contro nessuno».

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