I dannati di Sarah Kane Con «Blasted» va in scena il dramma che fa scandalo

Da martedì nell’allestimento di Elio De Capitani l’opera dell’autrice inglese morta suicida giovanissima

Quando la crudezza diventa insopportabile al punto da risultare oscena? Fu lei la prima e la più coraggiosa, Sarah Kane, ad addentrarsi nel territorio della teatralizzazione della violenza, psichica e fisica, auto inflitta e generata dall’abuso, ad iniziare a scavare fino a dove fa più male. E poi a portare sul palco le sue ferite fino a farle diventare le nostre. Il suo esordio fu proprio con questo testo, «Blasted», che da martedì l’Elfo propone in un allestimento - debutto ad Asti lo scorso 30 giugno - che vuole trasmettere, secondo il regista Elio De Capitani, «il segno del sacro che fa paura, della soglia che temiamo di avvicinare, ma alla quale osiamo guardare per scoprire l’orrore che altrimenti potremmo sperimentare sulla nostra pelle».
Ad accettare di venire indagati e bruciati dalle domande della Kane in quella prima al Royal Court nel 1995, non furono in molti: fischi e critiche accolsero «Blasted» e indignazione verso quel «disgustoso banchetto di sporcizia». Dalla parte della drammaturga inglese, che allora aveva solo 23 anni, si schierarono il Nobel Harold Pinter e l’illuminato Edward Bond, che riconobbe nella rappresentazione di cannibalismo, stupro e sevizie di quel lavoro il filo rosso dello «scandalo teatrale» da lui inaugurato con «Saved».
E, prima del suicidio avvenuto solo quattro anni dopo, la Kane continuò a scrivere, per diffondere nell’aria dei nostri tempi, troppo sottile per contenerne la ferocia, cinque tra i testi più crudi e veri del teatro contemporaneo. Secondo le parole della Kane, «il significato principale di Blasted era Ubriaco, perché sapevo che avrei scritto una pièce su un uomo che era costantemente ubriaco. Poi quando ero a metà della scrittura, mi sono resa conto del fatto che era una pièce sulla guerra (“to blast” = esplodere, da “blast” = veloce spostamento d’aria), e poi mi sono ricordata del blasted heath (la landa sferzata dal vento) in Re Lear. Infine, “blasted” è, in inglese, un’imprecazione molto leggera».
Una stanza d’albergo fa da sfondo, dapprima realistico, poi metaforico, alle contesa barbara tra Ian (Paolo Pierobon), quarantenne giornalista malato di cancro, razzista e arrogante, e la sua giovane ex amante Cate (Elena Russo Arman). Lenta ma inesorabile, la passività di Ian si fa aggressiva verso Cate fino alla totale perdita di controllo e a una triangolazione di crudeltà con un Soldato (Andrea Capaldi). Nelle sue «violenze/dipendenze», la Kane mescola lo squilibrio della coppia e la guerra in Bosnia. E lo stupro privato diventa collettivo.
Molti tra coloro che entreranno all’Elfo per questa prima nazionale lo faranno forse con la visione del corpo troppo presente e perfetto di Isabelle Huppert nella produzione «4.48 Psychosis», l’ultimo testo scritto dalla Kane, presentata al Teatro Strehler tre anni fa. Ma all’Elfo il registro è diverso.

Se la diva francese aveva spinto, grazie anche alla regia di Claude Régy, l’acceleratore su cento minuti di esibizionismo estremo, trasformando quel testamento ufficioso della drammaturga in una resa totale all’inedia, De Capitani conduce lo spettatore verso la visione: Brutalità, Ferocia, Dolore e Sangue diventano pura energia, tra Ibsen, Beckett e Brecht.

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