La fatica di mostrarsi belli, aperti e democratici. Quando parlano tra di loro ogni tanto se lo chiedono: ma chi è quel cretino che si è inventato le primarie? La risposta la sanno tutti, ma continuano a bestemmiare. La stanca classe dirigente del Pd è convinta da tempo che certe «americanate » buttate lì con troppa superficialità sono una disgrazia da cui è difficile liberarsi. È dai tempi del popolo dei fax che gli eredi del Pci fanno finta di gradire le rotture di scatole di quella benedetta e misteriosa società civile. Quando Franceschini ha detto che ha nostalgia dei girotondi a qualcuno è venuto il mal di stomaco e ancora adesso non riesce a dissimulare il disgusto. È divertente osservare la scena e certe risposte. Come quando Federico Geremicca sulla Stampa fa notare a D’Alema che c’è una piccola folla pronta a sfidare Bersani come candidato premier. «E chi sono?». «Vendola, Chiamparino, Veltroni...». La risposta di D’Alema vale mille pagine di analisi politica. «Ma perché, partecipano tutti alle primarie?».
Il rapporto tra il Pd e le primarie è tutto in questa frase. Nessuno pensava davvero che fossero una cosa seria. Le primarie sono come certi abiti da passerella, servono per fare scena, per far sussurrare oh! alle signore ingioiellate, fanno sognare gli esteti e gli stilisti, fanno colore e ammuina , ma non è che poi si indossano davvero. La strada è un’altra cosa. Le primarie vanno bene quando si sa già chi vince. Sono un orpello, un ornamento, una festa, una notte bianca, una pagliacciata. Il candidato premier lo sceglie il partito. D’Alema dice: «Quelli che intendono candidarsi alla guida del governo, si candidassero prima alla segreteria del partito».
A questa storia delle primarie ci hanno creduto in troppi. Si sa come vanno queste cose. Tu fai il democratico e la gente se ne approfitta. Ti arriva un tipo come Vendola che, a casa tua, in Puglia, sfida il Boccia di turno, il candidato di partito, e con l’orecchino in mostra si prende la poltrona. Vendola, che non è neppure iscritto al Pd, un signore di una sinistra eterodossa che non si capisce se è cattolico o marxista. Se le primarie sono una disgrazia, le primarie di coalizione, dove il primo che passa si mette a predicare, sanno di beffa e presa per i fondelli. Di questo passo in ogni Comune ci sarà qualcuno che si sveglia e decide di fare il sindaco. Al partito non resta che barare. A Milano c’è già aria di grane. Subito è spuntato un Pisapia, avvocato garantista che piace alla sinistra radical e non spaventa troppo i benpensanti.
Il partito corre ai ripari è tira fuori Stefano Boeri, archistar con lo stesso giro della Moratti, una cattedra al Politecnico, fratello di Tito economista e bocconiano, tanta buona stampa e la sventura di aver autografato il mega progetto della Maddalena. Quasi perfetto. Gli indipendenti di sinistra li usava anche Togliatti. Uno però. Non a frotte. Boeri non ha fatto neppure in tempo a dire «eccomi» e già la sinistra cattolica scalda il suo paladino. Un monsignore? No, un altro professore, Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica. È così che la corsa a sindaco di Milano si trasforma per la sinistra in una sfida Oxford contro Cambridge, con tutto il partito a mulinare sui Navigli. Risultato. Boeri e Ornaghi si elidono a vicenda, Pisapia sfida la Moratti e probabilmente perde. Questo al Nord,figuratevi nel resto d’Italia.
Chi sfiderà Berlusconi? Non Bersani, che non vincerà mai le primarie.
Forse le azzanna il solito Vendola o qualchecreatura raccattata da Veltroni tra i boy scout dell’alta finanza, con il placet degli scrittori Einaudi o Mondadori ancora incerti se lasciare la casa editrice. È per questo che l’unica preoccupazione dei vertici del Pd disinnescare le primarie. Contrordine compagni: facciamo una bella lotteria. Il primo estratto vince un biglietto per l’Africa. Solo andata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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