Roma - Antefatto (guardiola di portineria in largo del Nazareno). «Diciassette orizzontale: è comico». «Quante lettere? Prova Beppe Grillo». «No, non ci va, diciotto lettere...». «Hai provato: Par-ti-to-de-mo-cra-ti-co?». «Ma certo! Ecco, giusto giusto...».
Fatto. Il Poverocristo esce di casa assonnato, prende il cappuccino al bar, ascolta discorsi di tendenza. Calcio, cambio climatico, crollo della Grecia, preoccupazioni per il lavoro, il figlio precario, episodi di cronaca nera, qualche gossip. Ogni tanto risuona il nome di Fini, ma non si parla di tortellini. Poi va alla fermata, sale sul bus e sente sussurrare di «Italia 2011». No - pensa - non ci sono i mondiali. Ascolta con più interesse: «entusiasmo», «lavoro», «scuola», «etica», «coraggio», «riforme», «ambiente», «Costituzione». Mah, si arrovella il Poverocristo: sarà un gioco di società. Invece è politica, bellezza. È la politica del Pd. Vocaboli che rimbombano nella testa fino all’ufficio, le «missioni», le «parole di cambiamento» di Bersani e Letta. Il Poverocristo torna a casa e la moglie fa eco: «crisi», «ricerca», «sanità». Senso di caos.
Misfatti. Ma la realtà fattuale, si sa, non è materia per i signorini democratici inabissati in salottini di taffetà ed arzigogolati in tatticismi da partito. Loro ragionano per slogan, non per autobus. E la gente risponde per slogan, solo che di altro tono. Funziona un po’ come i microfoni aperti in radio: possono arrivare belle battute, ma pure scudisciate e bestemmie. E allora ai signorini del Pd gli elettori replicano con un decalogo astioso. Lo fanno su Internet: «Azzerare la classe dirigente»; «repulisti della dirigenza a partire da D’Alema»; «imparare ad ascoltare la base»; «lasciare spazio a gente come Vendola e Renzi». Sul sito di Repubblica si giustizia a richiesta la leadership di un partito. Nella sede di quel partito si ragiona volando alti: «Oggi dobbiamo costruire il Pd», fa il primo. «Già, ma come?», fa il secondo. «Con quali parole d’ordine - avanza il terzo -? Cioè, voglio dire, se vogliamo ricompattare le componenti, non dovremmo occuparci prima di declinare la grammatica politica e sociale?». «Un lavoro che riconquisti la fattualità di una connessione con il popolo...», concordano tutti. I Nobilicristi sono tutti sognanti. I Povericristi li svegliano.
Strafatto. Tra nobili e poveri, c’è uno Sgraziatocristo che si chiama Beppe Grillo. Ha ascoltato radio e tivù, letto i giornali. Dopo un paio di giorni, ha maturato un’idea precisa. Non gli riesce di sovente, considerato l’alto numero di cavolate che si è costretti a sentire, scrivere, setacciare, rilanciare e che anche lui partorisce sua sponte. Questa del Pd «deciso a rifarsi il look, in un anno di duro lavoro», gli è andata subito a genio. Non ha avuto bisogno di trovare il bandolo della matassa: d’altronde questo staff del Pd sembra fatto apposta. Ha dunque atteso la giornata dell’assemblea Telecom (ieri), dove ha fatto faville. Tra una pausa e l’altra, s’è ricordato di Bersani e di come l’altro giorno abbia «aperto il nuovo cantiere del partito: “dieci parole per ripartire, per una nuova Italia”. In un solo anno, dopo tre lustri di attesa, il “Pd(meno)elle” (così lo chiama Grillo, ndr) proporrà un suo profilo... Una plastica facciale nuova di zecca. Non è escluso che il “Pd(meno)elle” cambi ancora il nome per depistare gli elettori più tenaci. Entro il 2011 avrà persino un programma. Enrico Letta, il nipote di suo zio, ha affermato, senza che nessuno lo fermasse, che è necessario definire dieci parole chiave per uscire dall’attuale indistinto. Per ogni parola, “una proposta chiara e comprensibile per parlare al Paese”. La nuova via è tracciata, un percorso politico tra la Settimana Enigmistica e Scarabeo. Per dodici mesi i leader si riuniranno per trovare le parole per dirlo agli italiani. Quasi una al mese, si alterneranno per reggere lo sforzo immane. Ai cittadini, per diritto di replica, basterà una sola parola, ma di dieci lettere, orizzontale...
».A questo punto, si sarà già capito dove va a parare lo sgraziatro Grillo: alla parolina a lui sì cara che «comincia per Vaf- e finisce per -ulo». Come non essere d’accordo, per una volta? Meglio non si poteva dire.
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