I detenuti fanno le ostie per Scola e per il Papa

Elena Gaiardoni

Immacolato come la farina. Questo è il Natale. La farina che fa il pane, profumato come la vita, croccante come la speranza. La nostra religione è la tavola del pane più puro. Una fiaba pensare che il candore delle cinquemila ostie consacrate dal cardinale Angelo Scola domani notte in Duomo è stato impastato da tre detenuti per omicidio. Cristiano, Giuseppe e Ciro, chiusi nel carcere di Opera, fanno parte del progetto «Il senso del pane» della fondazione Casa dello Spirito e delle arti che, in collaborazione con il direttore Giacinto Siciliano, ha allestito all'interno del penitenziario un laboratorio artigianale per la produzione di particole.

Dalle mani di chi ha falciato una vita esce il simbolo di vita più forte per la nostra celeste speranza in un perdono così dolce, che solo un essere Bambino quale è Dio può concepire.

Le particole arrivano in Duomo ma anche a San Pietro, perché il laboratorio del carcere di Opera serve il Santo Padre ogni mese. Arnoldo Mosca Mondadori, ideatore dell'iniziativa, sottolinea la valenza di questa cucina che non usa il gusto per vanità, ma per alimentare la parte di noi che non ha materia, lo Spirito, che è come la luce: c'è, ma non si tocca.

«Attraverso le ostie nate in carcere - specifica Mondadori - sarà come continuare a portare nei cuori il messaggio di salvezza per tutti di questo 2016, che è stato dedicato alla Misericordia». Cristiano, Giuseppe e Ciro sono la «croce» che fa più grande il presepe.

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