Si capisce subito come, con Lo splendore del Portogallo, António Lobo Antunes non intenda affatto uno splendore bensì, piuttosto, il suo contrario: orrore, sopraffazione, violenza.
La raccontano la madre e i tre figli di una famiglia di coloni portoghesi in Angola (dove lo scrittore fu tenente, chirurgo e psichiatra durante la guerra, fra il 1971 e il 1973), poi cacciati, i quali, attraverso le loro voci affastellate, ricordano vittime e carnefici di un'epoca scomparsa in nome, ammette uno di loro, di «una parola di cui ignoro il significato, libertà».Eleonora Barbieri
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