I Ds sconfitti: pure gli operai non ci votano

Gianandrea Zagato

I Ds analizzano la sconfitta, di cui Franco Mirabelli si assume «la responsabilità con Pierfrancesco Majorino» ma avverte il segretario provinciale «nessuno del gruppo dirigente e della leadership dei Ds, dopo aver condiviso le scelte, magari non tutte ma la gran parte, può tirarsi fuori».
Per dirla meglio: «Se qualcuno chiede le dimissioni del segretario le chieda qui e non le faccia chiedere dai giornali e sarà accontentato». Altrimenti? «Mi impegnerò a portare in questa direzione, a settembre, dopo la Festa dell’Unità, una proposta di riassetto dei gruppi dirigenti che tenga conto dei nuovi compiti e che prosegua sulla strada del rinnovamento e dell’allargamento, con coraggio ma in autonomia».
Virgolettati della relazione che apre una discussione serrata, dove si marcano in modo ufficiale differenze di vedute in quella stessa maggioranza congressuale che governa la Quercia milanese. Divisione che si consuma sotto lo sguardo di Fabrizio Migliavacca, braccio destro di Piero Fassino.
Esagerazione? No, anche se il documento unitario presentato dalla segreteria alla direzione provinciale porta la firma «di tutti» nessuno escluso «i membri di maggioranza della segreteria, dei parlamentari, del presidente della Provincia, del parlamentare europeo, del capogruppo a Palazzo Marino e del segretario della Camera del Lavoro».

Quelle sei cartelle firmate anche da chi - Filippo Penati, ad esempio - chiedeva di più, una svolta per discutere del futuro dei Ds rappresentano, infatti, la prova provata della difficoltà di saper marcare un profilo riformista. (..)

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