Politica

I due italiani ostaggi per scelta Dal Niger nessuna buona notizia

Chiodi e De Capitani hanno salvato i compagni. Silenzio dai sequestratori

Eleonora Barbieri

da Milano

Le autorità nigerine continuano a battere le piste del deserto, ma dei due turisti italiani rapiti ormai tre giorni fa al confine con il Ciad ancora non ci sono notizie. Ogni dettaglio è fermo all’alba del 22 agosto quando, dopo una nottata trascorsa con i banditi, gli altri 19 compagni di viaggio sono stati liberati, mentre Claudio Chiodi e Ivano De Capitani sono rimasti nelle mani degli assalitori.
Non è un caso che gli ostaggi siano proprio loro perché, come ha spiegato la madre di Claudio, «quando i predoni hanno detto al gruppo che dovevano restare con loro due persone, lui ha detto subito: “Vengo io” e si è immediatamente aggiunta un’altra persona». Il racconto proviene da un testimone, il padovano Enrico Vettorato, uno dei 21 turisti della comitiva, con cui la mamma di Claudio è riuscita a parlare al telefono: «Credo che lo abbia fatto per senso di responsabilità». Chiodi, 48 anni, era l’anima del gruppo e ha anche organizzato il viaggio: «In agosto va sempre tutto il mese in Africa - ha raccontato la signora - lui ha quel Paese nel cuore». L’amico Ivano, 37enne operaio di Sirtori, nel Lecchese, ha la stessa passione: «Lavora tantissimo per pagarsi questi viaggi - ha spiegato una zia - e non siamo mai riusciti a convincerlo a non partire». Chiodi e De Capitani sono entrambi «coraggiosi» e non sono due sprovveduti, il loro equipaggiamento era perfetto: cellulari, fuoristrada attrezzati, mappe, Gps, telecamere. Proprio il bottino che, secondo Juri, figlio di altri due viaggiatori, i coniugi Berton, avrebbe attirato i banditi: «Magari sono ancora con i predoni per cercare di recuperare un po’ di refurtiva» ha ipotizzato ieri il giovane. I motivi del sequestro, così come l’identità dei rapitori, per la Farnesina rimangono però ancora oscuri: «Dobbiamo accontentarci dei racconti dei compagni liberati - spiega a Il Giornale Giovanni Davoli, inviato speciale del ministero in Niger per gestire la vicenda - e alcuni dettagli potrebbero essere stati forniti per depistare le indagini. Nel racconto ci sono anche delle contraddizioni. Finora non abbiamo mai raccolto notizie di gruppi armati nigerini anti-francesi: la loro esistenza sarebbe una novità. E poi, in queste aree di confine, l’appartenenza nazionale è secondaria: loro hanno affermato di essere nigerini ma, in realtà, ciò che conta è l’origine etnica». Quello che è sicuro è soltanto l’impegno delle autorità nigerine: «Hanno messo in campo tutte le forze possibili per aiutarci - continua Davoli - e, al momento, alcune centinaia di militari seguono le diverse piste per individuare dove possano essere nascosti». La buona volontà del Niger («Stanno facendo l’impossibile, per i loro mezzi»), per ora, non è però sufficiente e la colpa è soprattutto del terreno: «In una zona come questa non è semplice localizzare un gruppo di persone in fuga. Il compito non è facile». Davoli non nasconde le difficoltà: «È come cercare un ago in un pagliaio. È anche per questo che sconsigliamo ai turisti di recarsi in quest’area». Per i parenti dei due italiani la preoccupazione cresce con il passare delle ore e il silenzio dei rapitori e, anche, per l’intervento dei militari locali: «Su questo punto voglio tranquillizzare le famiglie. Le autorità sono state chiare: l’obiettivo è localizzare i due connazionali, poi discuteremo insieme come agire. Non ci saranno blitz da parte loro». Il resto della comitiva, intanto, prosegue il suo viaggio: «Hanno passato la giornata e la notte nella base militare di Dirkou, dove sono stati scortati l’altro ieri dai militari algerini e sono in totale sicurezza: al telefono non mi hanno riferito di particolari necessità e, presto, ripartiranno». L’ultima tappa è Tunisi.

Poi, il traghetto per l’Italia.

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