I figli dei musulmani milanesi: tredici si chiamano «Jihad»

Milanesi chiamati Jihad, Islam, Osama. Centinaia di bambini, ragazzi, uomini. Musulmani immigrati in città, o nati in Italia da extracomunitari, e votati fin dal nome alla «lotta», alla Guerra santa contro gli «infedeli» (gli italiani). Quegli «infedeli» che li accolgono nel nostro Paese, che danno loro un’opportunità di lavoro, un’abitazione in affitto più o meno decorosa. Gli stessi infedeli mandano i figli nelle stesse scuole, prendono gli stessi mezzi pubblici.
Mohamed Game aveva chiamato suo figlio con il nome dell’Islam. E all’anagrafe del Comune di Milano risultano centodieci persone, in gran parte bambini, con lo stesso nome. Un fenomeno inquietante, che si ripete. Uno dei marocchini arrestati l’anno scorso mentre covava progetti terroristici in concorso esterno con Al Qaida aveva chiamato il suo bambino - neonato - Osama, e dell’altro figlio, di due anni, si compiaceva: «Che bel bambino, diventerà come lo zio Osama». E intanto già pensava di indottrinarlo sulle virtù del principe del terrore saudita. Impressionante scoprire che Rachid Ilhami non era l’unico estimatore del leader di Al Qaida, se è vero che l’anagrafe di Milano conta 107 residenti con quel nome, dieci dei quali nati dopo l’11 settembre - ma già prima dell’ecatombe alle Twin Towers era conosciuto e ammirato nel mondo islamico per i macabri proclami.
Altra inquietante pagina dell’anagrafe milanese è quella occupata dal nome Jihad. Nella tradizione islamica significa letteralmente «sforzo», ma nell’uso comune, soprattutto nell’ambito delle comunità religiose, o politicizzate, viene associato a «lotta», «combattimento», e ovviamente a «guerra santa», tanto da essere stato scelto come «ragione sociale» da alcuni gruppi islamisti mediorientali. Un nome che in Germania è finito al centro di un contenzioso legale e mediatico. A un imam integralista è stato infatti inizialmente impedito di chiamare Jihad il figlio, prima che un tribunale berlinese dopo tre anni di battaglia a colpi di carta bollata gli accordasse il permesso di registrarlo all’anagrafe così. Sono tredici le persone che con questo nome negli ultimi anni sono transitate dall’anagrafe milanese. Due sono nati a Milano. Uno - lo conferma il Comune - è cittadino italiano nato da cittadini italiani.
«Dare un nome del genere a un bambino non è un buon segno di partenza - ha detto l’assessore ai Servizi anagrafici, Stefano Pillitteri - non è indice di volontà d’integrarsi. In Germania hanno riconosciuto la liceità di quel nome, e credo che anche noi non abbiamo la facoltà di sindacare sui nomi». Dall’anagrafe lo confermano: gli uffici hanno il dovere di registrare il nome, e la facoltà di segnalarlo, se si tratta di un nome «ridicolo o vergognoso».


Gabriele Mandel, insignito dell’Ambrogino d’oro, psicologo, artista e guida spirituale dei sufi, i «frati dell’Islam», è molto chiaro: «Psicologicamente il nome segna un individuo. Integralisti e terroristi che credono di andare in paradiso devono sapere che il suicidio è un peccato grave per l’Islam».

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