I filetti di baccalà di Santa Barbara, il mito che sedusse anche Pio XII

«Pe’ vedé si er filetto è al punto ggiusto/de colore de scrocchio e de frittura/devi arivà a sentì coll’occhi er gusto/e immagginatte l’inzaporitura/và a li Librari se li voi guardà/e si te vòi ’mparà l’arte e er talento/de ’mbiancà de pastella er baccalà». Antonello Trombadori così poetava sulla piccola osteria in mezzo a via de’ Giubbonari, in largo de' Librari, da quasi un secolo il tempio assoluto del filetto di baccalà, antica specialità romanesca. Grande sacerdote di un culto che conta fanatici adepti in tutte le classi sociali, è Marcello Cortesi, che 30 anni fa rilevò il locale della famiglia Gratta. «Dar Filettaro a Santa Barbara» (largo dei Librari 88. Tel. 066864018. Domenica chiuso) figura nelle principali guide gastronomiche italiane e straniere ed è meta di buongustai da tutto il mondo. Dopo essere stato recentemente recensito su Le Monde è stato inserito tra i primi 100 ristoranti di Gourmet Magazine e tra le «101 cose da fare a Roma, almeno una volta nella vita» di Ilaria Beltrami. Politici, artisti, cardinali, attori, assaporano i fritti accanto alla gente comune sopra tovaglie di carta e con servizio cortese ma veloce. Pare che anche Eugenio Pacelli, l’aristocratico papa Pio XII, fosse solito mandare il suo cameriere personale a prendere quattro o cinque filetti dorati. Nel passaggio da un gestore all’altro, nulla è cambiato: una specifica clausola del contratto tra i Gratta e Marcello Cortesi prevedeva un praticantato di un anno dal vecchio proprietario per imparare tutti i segreti della frittura. Solo ingredienti naturali, perfino il lievito è fatto in casa, facendo fermentare a parte un po’ di acqua e farina; poi viene miscelato alla pastella, dosandolo in rapporto all’umidità della giornata, per raggiungere il perfetto compromesso tra croccantezza e asciuttezza. Il trancetto di merluzzo norvegese, rifilato obliquamente dal filettone, viene preso con due dita e immerso nella pastella, poi immerso in due enormi padelle da 20 litri. La prima cottura, a temperatura più bassa, sigilla la pastella intorno al pesce, la seconda, a fuoco vivo, la fa gonfiare fino alla giusta doratura.

L’olio di palma è totalmente insapore e inodore e si scola perfettamente dal buco lasciato nella doratura dall’impronta delle dita. Al filetto di baccalà si possono accompagnare le tipiche «puntarelle» romanesche, condite da aglio e acciughe sott’olio tritate. Ideale abbinamento è il vino bianco dei Castelli.

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