Roma - Federalismo, caso Ruby, terzo polo, giustizia. Alla fine i quattro temi roventi rischiano di ustionare pure Fini. Sul federalismo fiscale, al vaglio della bicameralina per il parere non vincolante, il finiano Mario Baldassarri è in imbarazzo. Lui, come del resto il rappresentante dell’Italia dei valori Felice Belisario, in queste ore è oggetto del pressing del governo. Un loro voto favorevole o una loro astensione potrebbe infatti fare esultare la Lega e quindi la maggioranza. Si supererebbe l’empasse del pareggio in commissione - per ora si resta sul 15 a 15 - e in futuro si potrebbe mettere il marchio su una delle riforme più attese dal Paese. Tuttavia, per questioni politiche, né il finiano né il dipietrista se la sentono di contribuire a dare una boccata d’ossigeno al governo. Ecco il dilemma. Nell’attesa di sciogliere il nodo, da Palazzo Chigi è arrivata qualche apertura alle richieste di entrambi. Il finiano, dopo un incontro a palazzo Grazioli con il ministro Calderoli e il premier Berlusconi, ha strappato l’ok su qualche sua proposta di modifica ma non su tutto. Aperture non sufficienti, come dichiarato dallo stesso Baldassarri, anche se un segnale ieri c’è stato: a un emendamento proposto dal Pd, il finiano infatti s’è astenuto.
Ma anche sul caso Ruby il Fli è tutt’altro che compatto. Oggi, infatti, ci sarà il voto dell’Aula sulla richiesta avanzata dai pm di Milano di poter perquisire l’ufficio di Giuseppe Spinelli. E i fari sono puntati sul finiano Giuseppe Consolo. L’avvocato, infatti, nei giorni scorsi ha fatto sapere come la pensa: «La competenza a indagare sul caso Ruby è del tribunale dei ministri e non delle procura meneghina», disse in un’intervista al Corsera. E ancora: «Non riesco a comprendere, da uomo di legge, come dei magistrati preparati come i pm della procura di Milano non abbiano applicato la legge costituzionale del 16 gennaio 1989 sui reati ministeriali. Nell’articolo 6 al secondo comma, c’è scritto chiaramente che il procuratore della Repubblica, “omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al tribunale dei ministri”». Voterà in dissenso al gruppo? Si asterrà? Probabilmente alla fine si conformerà alle direttive del capo, motivando però i suoi «dubbi» di fondo.
Sullo sfondo i malesseri per il terzo polo, orizzonte che non piace a molti soldati finiani. L’ultimo a gridare il proprio mal di pancia è stato Luca Barbareschi col suo: «Mai con Rutelli e non voglio che il Fli diventi un partito allineato con la sinistra». E ancora: «Se devo andare alle elezioni con De Mita anche mia figlia mi fa una pernacchia». Critiche che non sono piaciute ai colleghi che ieri lo hanno dimostrato platealmente. Durante la riunione del gruppo del Fli alla Camera, infatti, all’ingresso di Barbareschi qualche finiano s’è alzato e se n’è andato. L’accusa: aver osato presentarsi ad Arcore lunedì scorso per parlare con Berlusconi. Peggio: Barbareschi s’è spinto a dire che a suo parere «nell’inchiesta su Ruby ci sono delle foto fatte in casa di Berlusconi con strumenti professionali usati per lo spionaggio. E quindi non è più un Paese libero». Sul futuro politico di Barbareschi resta il mistero anche se non viene smentita l’ipotesi delle sue dimissioni da parlamentare.
Tornando alle alleanze future, nel Fli i nervi restano tesi. Posto che alle prossime elezioni amministrative al primo turno i finiani si presenteranno assieme ad Api, Udc e Mpa, in tanti hanno respinto la politica dei due forni. Il rischio: continuare a fare la ruota di scorta di Casini con il timore di seguirlo anche in un appoggio a candidati del centrosinistra. Roba da far venire l’orticaria a molti. Forse anche a uno come Roberto Rosso, ex pidiellino passato in Futuro e libertà lo scorso novembre. Lui, coordinatore regionale del Piemonte, è al centro di molti rumors. Anche lui sarebbe un malpancista e nei giorni scorsi ha avuto un colloquio con il coordinatore del Pdl Denis Verdini. D’altronde Rosso la pensa più o meno come Barbareschi, tanto da lanciare il deputato attore come sindaco di Torino: «È l’uomo giusto». Peccato sia arrivato il niet di Casini. Rosso poi, in tema di giustizia, non è troppo lontano dal Pdl.
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