I Giochi di Gregory che guida la carica dei «Tori Seduti»

Oggi a Torino cominciano le Paralimpiadi. Leperdi, 33 anni, laureato in farmacia, è il polivalente della squadra azzurra di hockey

Riccardo Signori

Il nome è tutto un programma: Tori seduti. Gli americani li adotterebbero. Loro che con Toro scatenato, alias Jake La Motta, hanno cavalcato l'epopea della boxe. E con altri tori hanno riempito le arene del basket e del football. «Noi, invece, ci siamo presi in giro con un sorriso».
Gregory Brian Alexis Leperdi potrebbe venire da un qualunque angolo della terra con tutti quei nomi. E invece è un toro seduto, nato 33 anni fa alla periferia di Parigi, italiano nel sangue, doppio passaporto, un'unica maglia: azzurra. «Quella dei giocatori di ice sledge». Che sono gli hockeisti su ghiaccio della nazionale in carrozzella per le Paralimpiadi. «Tori come Torino, la città dove giocheremo, seduti come il gran capo indiano. Così siamo nati noi, una compagnia di pioneri dell'hockey su ghiaccio, squadra composta tre anni fa. Pensi che in Norvegia e in Svezia l'hockey ghiaccio su carrozzella esiste dagli anni Settanta».
Leperdi è uno di loro. Aggiunge: «Uno degli ultimi arrivati, due anni fa mi hanno convinto a provare per i Giochi». Un uomo che non ha più la gamba sinistra, ormai da anni. «Era una notte del novembre '98, proprio a Torino. In auto a un incrocio. Passa un ubriaco che non ha la precedenza. Mi prende in pieno, schianto dalla parte mia che guido. Dalla coscia sinistra in giù, tutto amputato. Subito. Trascorro un periodo tra dolori vari, sensazioni di bruciore a un piede che non esiste più. Ho la fortuna di essere ben seguito, amici, famiglia. Ma poi cosa rimaneva? Soprattutto a uno come me, da piccolo patito di l'atletica, poi passato al basket dove stavo giocando in serie C2? Un giorno mi fanno vedere i video di quelli che girano per le protesi, mi colpisce quanto si può fare: c'era uno che correva su un prato. Aveva una gamba sola, ma dava una gran sensazione di libertà. Allora mi sono ributtato. Pensi, ho visto gente correre la maratona».
Rilanciato nello sport e nella vita. Gregory Leperdi, come quel migliaio di atleti che sono a Torino, ci spiegherà come si fa. O perchè lo fanno. Lui è un caso tipico, avendo impiegato ogni energia nel lavoro (è laureato in farmacia e si occupa di studi clinico-farmaceutici) e nello sport: è tornato all'atletica di chi è diversamente abile rispetto a coloro che credono di avere tutto a posto.
Poi si è dato al pentathlon: «Avevo raggiunto un punteggio da record mondiale, se mi avessero convalidato il risultato». Sarebbe stato più semplice continuare con il basket, seppur in carozzella. «Ma volevo sentirmi in piedi». Ora tenta con l'hockey, pronto a sedersi in queste carozzelle costruite con la logica dell'autoscontro, per evitare altri guai fisici agli occupanti.
Sarà sport vero, hockey giocato con le regole classiche. Con tanto di antidoping. «Controllano anche noi. Però chi prende antidolorifici o diuretici, che sono doping, può denunciarlo prima e non succede niente». Insomma qualche furbata può scapparci. «Ma non troppo. Pensi che volevamo andare a vedere Juve-Werder, ma ci hanno detto che rischiavamo. Se arrivava un controllo a sorpresa, dovevamo essere disponibili entro mezz’ora dalla chiamata. E chi sta in carozzella non può essere molto veloce». Sarà una bella avventura, come quella di tutti gli altri.
«Vorremmo fosse pubblicità per giovani che non conoscono l'esistenza di certe opportunità. Talvolta non vogliono farci vedere, ma siamo persone normali, che si divertono e danno spettacolo. Credete che veder scendere uno con una gamba sola, non aiuti a pensare che certe difficoltà del quotidiano sono meno gravi?».


Andare oltre i propri limiti o scoprire i limiti? Leperdi che oggi è un Toro seduto, con la voglia di stare in piedi, ha la risposta. Che forse vale per tutti. «È voglia di scoprire i limiti per cercare di superarli».

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