I giovani Pd pezzi da museo: litigano sull’internazionale

I giovani del Pd devono avere più o meno 120 anni, sembrano usciti l’altro ieri dalla Seconda internazionale, quella in cui Rosa Luxemburg se la prendeva con i pidocchiosi riformisti. Era il 1889. Insomma, devono aver sbagliato data. Stanno un secolo in ritardo rispetto alla caduta del Muro di Berlino e ventuno anni indietro rispetto alla storia. Qualcuno li informi che questo è il XXI secolo e perfino gli anni zero sono finiti.
La notizia arriva da Bommersvik in Svezia, dove si è svolto il congresso dello Iusy, l’unione internazionale dei giovani socialisti. Il Pd piazza tra i 16 vicepresidenti una ragazza di 25 anni, di San Salvo, in provincia di Chieti, giovane, rampante, con una poltrona nell’esecutivo nazionale dei grandi e ministro degli esteri dei giovani pd. Si chiama Federica Mariotti ed è figlia d’arte, il padre Arnaldo è stato parlamentare fino al 2006 con l’Ulivo. Quando è stata nominata ha detto che è fiera di far parte di un network mondiale. Solo che a casa sua, in Italia, sono cominciate le polemiche.
Non tutti i giovani pd sono contenti della scelta di campo. I «riformisti» sono passati all’attacco. Socialisti? No. Non è questa - dicono - la nostra identità. Noi siamo cattolici, liberali, radicali, ambientalisti. E parte la disfida. Quella di sempre. Quella delle mille anime della sinistra, frammentate, dilaniate, separate, stralunate, sfilacciate, in eterna autocoscienza, sempre sul lettino di Freud, in bilico tra Marx e Mazzini. Basta. Che palle.
Il dibattito, che non può mancare, occupa pagine e pagine di forum su internet, focus di discussioni, parole in politichese puro, masturbazioni mentali sul destino della sinistra nel mondo, ragionamenti con squadra e compasso su dove stare, se si è più socialisti o un po’ più democratici. Cadono le braccia.
È da qui che dovrebbe arrivare il rinnovamento del Pd. Ma se questa è la nuova classe dirigente, quella cresciuta senza ideologie, quella che naviga in rete, che non ricorda la tv in bianco e nero, che non ha letto Figlioli miei marxisti immaginari, quella che è scampata a Porci con le ali, quella senza falce e martello, quella che il socialismo è morto, quella che aveva 14 anni ai tempi di Clinton e di Blair, quella che si specchia nel presidente nero e sogna che tutto è possibile, quella in stile next generation, allora c’è qualcosa che non va. Non funziona. Questi ventenni che ancora stanno qui a chiedersi socialismo sì o socialismo no sembrano usciti da un museo del tardo Ottocento, le più moderne andranno vestite da suffragette e i ragazzotti mostrano il pugno alla locomotiva. Questo non è il futuro del Pd, è un film in costume. È un remake da cinema muto. È la storia a tempo di gambero. È una fotografia color seppia, un dagherrotipo.
Magari invece è tutto coerente. L’internazionale socialista dei giovani Pd è l’immagine di questo partito da ville lumière. È la sinistra dove gli operai non votano, la sinistra dei pochi, élitaria, verbosa, parolaia, di quella borghesia che comincia a sentire il mal di vivere e la noia, di caffè e di salotto. Il Pd reazionario di questi anni non poteva non generare nulla di diverso.

La ricerca del tempo perduto ha prodotto questi figli vintage. Attenzione. Il rischio è che la prossima generazione, di retropasso in retropasso, farà la maglia sotto la ghigliottina. E poi lo chiamano «sol dell’avvenire».

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