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I grandi che hanno cambiato pelle allo sport

È ambizioso due volte, Lewis Hamilton. Perché sa di avere talento e ha una volontà di ferro: «Quando vidi Senna con la McLaren, era il ’93, decisi che sarei diventato pilota e che avrei corso con quella macchina» ha detto ieri. Non solo: sa che se gli dovesse riuscire di vincere Gp e mondiali diverrà il Tiger Woods, l’Arthur Ashe, il Jesse Owens della F1. Andrà a braccetto con i grandi atleti di colore che hanno aperto ai neri sport fin lì terra di conquista dei bianchi.
Il più noto di tutti resta e resterà Jesse Owens, l’omone che rivoluzionò l’atletica leggera, che umiliò lo squadrone hitleriano alle Olimpiadi di Berlino ’36. Ma l’atletica era ed è sempre stato sport democratico, aperto ad etnie e razze diverse. Più di nicchia il tennis. L’elìte bianca subito dopo la seconda guerra mondiale accolse storcendo il naso l’arrivo di Althea Gibson, classe 1927, prima atleta di colore a vincere titoli del Grande Slam; qualche anno dopo toccherà ad Arthur Ashe portare avanti il testimone. Nel ’69, anni difficili per la comunità nera americana, Ashe vinse lo Us Open e la stagione dopo quello d’Australia. Nel ’75 la perla: il trionfo a Wimbledon. Mentre il baseball americano ricorda ancor oggi Jack Robinson, primo nero nella Major league, anno 1947, più recenti sono i casi di Tiger Woods nel golf e della francese Malia Metella nel nuoto. Ma c’è da giurarci: Hamilton pensa a Woods.

Diventare il più forte lasciando gli altri daltonici di rabbia.

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