I Kataklò allo Smeraldo: in viaggio con Livingston

I Kataklò allo Smeraldo: in viaggio con Livingston

Andrea Indini

Silenzio in sala. Fuori visione parte una voce maschile (quella di Claudio Bisio) recita un testo tratto dalla commedia Gli uccelli di Aristofane. Da qui, il via per un lungo viaggio articolato in tredici quadri che, soltanto al termine dello spettacolo, si capirà essere uniti da un unico fil rouge. A partire da domani, il palcoscenico del Teatro Smeraldo ospiterà Livigston “Oltre i limiti”, l’ultima creazione dei Kataklò.
Il protagonista del quarto spettacolo, firmato dalla compagnia milanese e (per la prima volta) organizzato in collaborazione con Andrea Bozzoli che ha curato la drammaturgia del progetto e composto le musiche originali, è un gabbiano. La citazione con cui apre lo spettacolo sembra tracciare un’apparente dicotomia tra la natura umana e la stirpe degli uccelli. La prima viene definita come oscura, debole, effimera, vana, infelice e, soprattutto, incapace di volare. In ossequio alla mitologia classica, invece, la stirpe degli uccelli viene descritta come immortale ed eterna, come la razza primigenia la cui origine risulta precedente persino alla nascita degli dei. Una razza più vicina al cielo, quantomeno per il fatto di abitarlo e percorrerlo in volo.
Livigston è un grande viaggio, l’esperienza di un gabbiano che lo faccia evolvere fino a raggiungere il supremo, la consapevolezza del sé, il superamento di una prova fisica, un traguardo intellettuale. Ma questo solo all’apparenza. La vera evoluzione del gabbiano è la ricerca evolutiva in quanto tale. All’apparenza sembrerebbe una tautologia, ma sarà proprio l’evoluzione degli eventi dentro ai quali si ritroverà il gabbiano a far capire il senso di questo viaggio. Allontanarsi dallo stormo di origine, conseguire la propria indipendenza, riunirsi a un nuovo e più evoluto gruppo di gabbiani, aiutare una sua simile in difficoltà, incontrare il grande saggio per poi condividere con i compagni l’illuminazione finale, il dono della luce.
«Attraverso questo lavoro – spiega Bozzoli – si esamina quel costante e celato desiderio che ogni uomo ha di volare, allontanandosi dalla convinzione che il volo sia una naturale aspirazione dell’uomo per raggiungere, invece, la consapevolezza che il volo sia un ricordo ancestrale delle nostre ali perdute».
«Sono certo che non può esistere un orizzonte senza una conquista». Chiude con questa strofa l’ultimo brano dello spettacolo cantato da Mango. E proprio sul finire dello spettacolo, ecco il colpo di scena: la natura della stirpe degli uccelli sembra differire da quella umana per caratteristiche fisiche, non certamente per le potenzialità o la missione. Per questo, la ricerca del gabbiano non è preclusa all’avventura umana. Al contrario, ne diventa l’archetipo.
«Il tratto di completa innovazione – spiega la coreografa Giulia Staccioli – è riscontrabile nella natura narrativa dello spettacolo: ogni quadro è infatti conseguenza di quello che lo precede e causa di quello che lo segue favorendo una visione corale della storia». Livingston è dunque una storia.

E la narrazione trova pieno compimento nello studio del movimento. «I dodici ballerini – conclude la Stacciali – esprimono in scena tutte le loro potenzialità fisiche ed espressive in un lavoro in cui la forza del gesto si fonde con l’armonia della danza».

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