I lager, la Bibbia e un dialogo con Dio

Maurizio Panici propone un’originale rilettura dell’Ecclesiaste dove compare anche la voce di un bambino prigioniero nei campi di sterminio

Laura Novelli

«Vanità delle vanità, dice Qoèlet, / vanità delle vanità, tutto è vanità». Inizia così L’Ecclesiaste, uno dei passi più misteriosi della Bibbia, anche noto come Libro di Qoèlet, che riporta le parole di un maestro non chiaramente identificato ma assimilabile, per ovvie ragioni simboliche, al figlio di David Salomone: il re di Israele, il sapiente per eccellenza. I temi qui trattati sono tanti e tutti significativi pur se al centro di questa alta disquisizione biblica troviamo essenzialmente il male, lo sconquasso del mondo, la violenza, l’ingiustizia («tutte le cose sono in travaglio/ e nessuno potrebbe spiegarne il motivo»). Temi che possiedono in sé una forte spinta etica e civile e dai quali Luciano Violante - magistrato prima e parlamentare poi, già autore di una Cantata per i bambini morti di mafia - si è lasciato affascinare per dare alle stampe un libro, Secondo Qoèlet. Dialogo tra gli uomini e Dio il titolo, ispirato alla Bibbia ma rielaborato secondo percorsi e tensioni personali. Da questo volume Maurizio Panici ha tratto a sua volta uno spettacolo, ora in cartellone all’Argot, dove la portata trascendente del contenuto si fonde con una ricerca scenica condotta su più livelli. Trattandosi di un dialogo insieme intimo e collettivo, storico e attuale, il regista lo affida, in modo tutto sommato canonico, ad una voce divina fuori campo (quella, mesta ed espressiva, di Omero Antonutti) e ad altre voci intrecciate dal vivo (Salomone, una donna/madre e tre figure che rappresentano un coro di ascendenza tragica) al fine di mantenere un impianto letterario e, in definitiva, divulgativo. La partitura verbale (non scevra da picchi lirici) si movimenta poi grazie a immagini video assai calzanti (modulate secondo una circolarità inizio/fine che ripete i versi introdotti da: «C’è un tempo per nascere e un tempo per morire») e grazie alle belle musiche composte da Stefano Saletti e ai salmi eseguiti da Miriam Meghnagi. Va pure detto che il testo, nel suo intento di scandagliar l’empietà e la sopraffazione di ieri e di oggi, mette insieme materiali extra-biblici forse abusati (Hitler, Pinochet, atti di violenza perpetrati di recente in Medio Oriente), che trovano il loro momento più suggestivo nel racconto di un bambino deportato nei campi di sterminio nazisti (la voce registrata è quella del piccolo Eugenio Saletti).

Nel complesso, l’approdo cui si è giunti non convince del tutto, complice un eccesso di didascalismo e di ripetitività che nuoce, secondo noi, alla teatralità stessa dell’operazione. Buona risulta comunque la prova di tutti gli interpreti, che sono Adriano Braidotti, Andrea Bacci, Giusi Giarraputo, Camillo Grassi e Gigi Palla.
Repliche fino a domenica 12. Informazioni tel. 06/5898111.

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