I lefebvriani chiedono perdono E oggi il Papa parla di Shoah

RomaI lefebvriani chiedono perdono al Papa per le dichiarazioni del vescovo Williamson. E c’è grande attesa per ciò che Benedetto XVI dirà stamane nel corso dell’udienza generale del mercoledì, dopo le polemiche sorte dalle dichiarazioni negazioniste del prelato che hanno provocato negli ultimi giorni una valanga di reazioni. È probabile che in un passaggio del suo discorso, il Papa parli della revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, spiegandone il significato. E, pur senza entrare direttamente nel merito della polemica, possa pronunciare una frase sulla Shoah, ricordando il Giorno della memoria celebrato ieri e la condanna della Chiesa per i crimini commessi contro gli ebrei.
Ieri è stata diffusa una lettera di scuse del superiore della Fraternità San Pio X, Bernard Fellay, nella quale spiega che le affermazioni di Williamson «non riflettono in nessun caso la posizione della nostra Fraternità. Perciò io gli ho proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche». «Chiediamo perdono al Sommo Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà - aggiunge - per le conseguenze drammatiche di tale atto. Benché riconosciamo l’inopportunità di queste dichiarazioni, non possiamo che constatare con tristezza che esse hanno colpito direttamente la nostra Fraternità discreditandone la missione».
In Vaticano, pur comprendendo la preoccupazione espressa dalla comunità ebraica, si considera strumentale l’aver associato la revoca della scomunica alle imbarazzanti posizioni di Williamson, rilasciate nei mesi scorsi a una Tv svedese, e l’aver fatto credere che l’atto di generosità di Papa Ratzinger potesse essere letto come un’attenuazione dei giudizi che il Concilio e i Papi hanno formulato condannando l’antisemitismo. Proprio su questo, Benedetto XVI - che ha già visitato le sinagoghe di Colonia e di New York, e nel corso dei suoi viaggi ha sempre incontrato le comunità ebraiche - è peraltro già intervenuto con estrema chiarezza.
Il 28 maggio 2006, Ratzinger iniziò il suo discorso durante la visita al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dicendo: «Ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte». E lanciò «un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa». Tre giorni dopo, a Roma, durante l’udienza generale, disse esplicitamente che nei lager «Hitler fece sterminare oltre sei milioni di ebrei». È dunque del tutto fuori luogo immaginare che la revoca della scomunica, un atto magnanimo compiuto per facilitare un cammino di dialogo e di confronto con la Fraternità San Pio X, che di per sé non basta per la piena comunione tra i lefebvriani e la Chiesa cattolica, venga associato alle tesi che negano l’esistenza delle camere a gas e minimizzano il numero delle vittime dei nazisti.
Parole preoccupate, ma meno polemiche rispetto a quelle di altri esponenti del mondo ebraico, sono state pronunciate ieri dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che ha giudicato le frasi dette lunedì dal cardinale Bagnasco sul caso Williamson «un inizio, forse un po’ timido, che va comunque nella direzione che auspichiamo». Al giornale online «Papanews», il rabbino ha dichiarato che «una visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma sarebbe, senza ombra di dubbio, un chiaro segno di distensione».


Nella polemica ieri è intervenuto anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, aprendo i lavori del convegno «Memoria: dalle testimonianze dirette al Museo della Shoah», nella sala della Lupa a Montecitorio. «Le teorie negazioniste sono un’infamia - ha detto, con un riferimento evidente al monsignore lefebvriano - tanto più se pronunciate da chi ricopre incarichi religiosi».

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