Tra i litiganti gode il «subcomandante» Walter

Come nelle peggiori crisi matrimoniali, tra Prodi e Bertinotti sta finendo a piatti rotti e calci negli stinchi.
Ufficialmente il premier non ha proferito parola sulla pesantissima intervista del presidente della Camera, che dichiarava finita l’Unione e «morente» il governo. In privato, però, ne ha dette di tutti i colori sul «tradimento» di Rifondazione. E ieri il più silenzioso dei suoi collaboratori (non a caso addetto ai Servizi segreti) ha dato voce alla furia di Palazzo Chigi: Bertinotti, secondo il sottosegretario Micheli, manca addirittura di «senso dello Stato». La reazione di Rifondazione è altrettanto dura: il capogruppo Migliore parla di «imbarbarimento» e chiede a Prodi di prendere pubblicamente le distanze da Micheli.
E però, il premier ha capito che stavolta il pericolo era reale, e che Rifondazione e Pd gli stavano mandando a dire che le riforme si faranno anche se dovesse cadere il governo Prodi», come spiega Franceschini. E ha prontamente raddrizzato la rotta nella direzione voluta da Bertinotti: tramite intervista al Pais, ha fatto sapere al presidente della Camera che lui non ha intenzione di ostacolare il dialogo sulle riforme e che il governo starà fuori dalla partita.

La marcia indietro è stata registrata con gran soddisfazione nel loft veltroniano, dove (al di là delle dichiarazioni ufficiali obbligate) il leader del Pd non solo conosceva in anticipo ma condivideva nei contenuti l’ultimatum bertinottiano.

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