Politica

I «mea culpa» e il burattinaio di Teheran

Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha fatto, domenica, pubblica ammenda per aver provocato col rapimento di due soldati israeliani la reazione di Gerusalemme. A lui ha fatto eco, ieri da Gaza, il portavoce di Hamas, Ghazi Hammad, affermando alla radio israeliana che non si possono imputare all’occupazione tutti i mali dei palestinesi. Sono dichiarazioni sorprendenti per il loro realismo, coraggio intellettuale e politico, soprattutto nel clima di trionfalismo per la vittoria riportata in Libano sul nemico sionista e l’atmosfera di odio anti-israeliano e antisemita che dilaga - su comando o spontaneamente - fra le masse islamiche. È lecito pertanto chiederci che cosa le abbiano provocate. Ci sono, anzitutto, motivi locali. Il 51% dei libanesi chiede il disarmo delle milizie hezbollah (mentre l’80% della popolazione sciita si oppone). Il partito di Dio, pur offrendo ingenti somme per indennizzare i proprietari di immobili distrutti dall’aviazione israeliana, sa di perdere sostegno nell’opinione pubblica libanese che lo incolpa di essere la causa della guerra. Qualcosa di simile sta succedendo a Gaza e nella Cisgiordania dove le «vittorie» di Hezbollah e i lanci di missili contro il territorio israeliano non compensano i gravi problemi di sicurezza e i disastri economici provocati dalla sospensione degli aiuti economici imposti da Europa e Israele a seguito della costituzione di un governo che chiede la distruzione dello Stato ebraico.
Prima di sapere se i lodevoli ripensamenti delle due organizzazioni terroriste, siano o no una «rondine» che annuncia la primavera, è necessario chiedersi, tenuto conto della loro dipendenza ideologica e finanziaria dall’Iran, se non si tratta di un mutamento di canovaccio nello «spettacolo di burattini» da parte del loro burattinaio. Il quale non più tardi di domenica, dopo aver decretato più volte l'impegno dell’Iran per distruggere Israele, ha ribadito che la forza nucleare, «diritto sacrosanto» del regime islamico, non è diretta contro nessuno, «neppure contro i sionisti».
Per la capacità di dissimulazione istituzionalizzata per motivi storici e religiosi nella cultura sciita, è lecito chiedersi se non si tratti di un’offensiva del presidente iraniano per «addormentare» la volontà del pubblico israeliano favorevole a una guerra preventiva contro l’Iran (ed eventualmente contro la Siria) dopo aver corretto gli errori emersi nella campagna del Libano. Come, cioè, risvegliare in Israele il partito della pace in favore di negoziati a lungo termine per una pace illusoria, come illudere gli israeliani che «il lupo ha cambiato il pelo» e che l’obbligo di distruzione di Israele non era in definitiva che una «boutade» politica avventata. Il futuro dirà se Ahmadinejad sarà «miracolato» assieme a Nasrallah e a Hamas, oppure se Israele (sotto pressione dei «no global della pace») si troverà di fronte a una nuova trappola. Un segno lo si avrà con la costituzione della commissione di inchiesta sulla condotta della guerra del Libano. Se da essa il premier Omert, il ministro della Difesa Peretz, e il Capo di Stato Maggiore Halutz - principali responsabili degli errori in questa campagna - salveranno le loro poltrone avvalendosi del fatto che l’operazione militare, per quanto sballata, abbia portato al ravvedimento dei peggiori nemici di Israele, allora i «mea culpa» di Nasrallah e di Hamas avranno raggiunto lo scopo: intorpidire la volontà di combattere di Israele.

Un obiettivo che il presidente iraniano si prefiggeva.

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