Economia

Per i mercati è ancora alta tensione

Per i mercati è ancora alta tensione

Milano - Usa toni rassicuranti il Fondo monetario internazionale; spende parole d’ottimismo il Tesoro Usa; corregge perfino il tiro Alan Greenspan, la cui frase sui rischi di recessione tanto aveva inquietato gli investitori nei giorni scorsi: eppure, i mercati azionari non riescono ancora a ripartire. La volatilità, spia evidente di nervosismo e tensione, è stata la nota dominante di ieri soprattutto a Wall Street, dove l’andamento altalenante degli indici è durato fino alla campana di chiusura (-0,28% il Dow Jones, 0,47% il Nasdaq). Ancora schiacciata dal peso dei ribassi l’Asia (dopo il rimbalzo di mercoledì Shanghai ha ceduto un altro 2,9%, Tokio lo 0,86%, Hong Kong l’1,6%), l’Europa ha vissuto una seduta condizionata dalle notizie provenienti dall’America, riuscendo solo nel finale a ridimensionare le perdite attorno all’1% (Milano è scesa dell’1,26% mettendo a segno un nuovo record degli scambi, vicini ai 10 miliardi di euro di controvalore».
L’incapacità delle Borse di superare l’attuale fase critica non sorprende del resto gli operatori. «Choc di questo genere - spiega un trader - non si smaltiscono di certo in pochi giorni e fanno sentire i loro effetti anche a distanza. La volatilità dei mercati diventa esponenziale e i tanti derivati immessi nel corso del recente passato hanno spostato volumi molto grandi determinando maggiori timori negli investitori». Ciò che riesce difficile è prevedere quanto durerà questa fase, anche se le analogie con i rovesci borsistici della metà del 2006 potrebbero indicare in circa un mese il tempo necessario per sanare la situazione.
Molto dipenderà dall’entità del ridimensionamento del carry trade (il finanziamento delle attività su mercati ad alto rendimento attraverso l’indebitamento in valute a basso costo), con lo spostamento su asset difensivi, e dal livello di deterioramento negli Usa del mercato dei mutui subprime (quelli concessi anche in assenza di garanzie). È comunque evidente che un’eventuale offensiva statunitense in Afghanistan, il cui avvio viene indicato ad aprile da alcune indiscrezioni, avrebbe il potere di rimescolare le carte sui listini.
Per il momento, organismi autorevoli come il Fmi gettano acqua sul fuoco della crisi, sottolineando come la crescita mondiali rimanga «solida» e liquidando gli scossoni borsistici come l’effetto di «una correzione». È lo stesso punto di vista espresso dal segretario al Tesoro Usa, Henry Paulson, secondo il quale l’economia Usa «è in salute». La risalita in febbraio dell’indice Ism manifatturiero a 52,3 punti indica in effetti che l’America è ancora in una fase di espansione. Quanto ai rischi di recessione verso la fine dell’anno, Greenspan ha precisato ieri che «è possibile, ma non probabile.

Semplicemente - ha aggiunto l’ex timoniere della Fed - non possiamo aspettarci che questo periodo straordinario di ripresa continui per sempre».

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