Ma i mercati non si fidano. E la Germania avverte Atene

Milano «La fiducia è una cosa seria», recitava un vecchio slogan. In tempi di crisi, la frase andrebbe cambiata: «La fiducia è merce rara». Sempre più rara. Manca a livello internazionale, manca ai mercati, alle aziende e ai consumatori. Difficile oggi dire se l’assegno da 130 miliardi pro crescita che l’eurozona intende staccare allontanerà diffidenze e scetticismi. Di sicuro, l’impresa è di quelle toste. In Italia la cosiddetta consumer confiance è più bassa della pressione del neoministro greco, Vassilis Rapanos, ricoverato ieri in ospedale dopo essere svenuto a poche ore di distanza dalla cerimonia di giuramento. L’ultimo bollettino Istat sgrana infatti un rosario di preoccupazioni, con lo scivolamento in giugno della fiducia dei consumatori al livello più basso dal gennaio ’96 (85,3 punti), ovvero dall’inizio delle rilevazioni statistiche. Manovre, tasse, balzelli, uniti all’assenza di crescita e alle calanti prospettive, hanno reso gli italiani tanti epigoni di Leopardi. Eppure non siamo soli. Perfino le inossidabili aziende tedesche fiutano venti contrari: da due mesi il loro umore è peggiorato, fino a far toccare all’indice Ifo, una specie di ecografia sulla salute economica della Germania, il punto più basso degli ultimi due anni. Sarà forse colpa dell’allargarsi, dalla Merkel al cuore industriale del Paese, della sindrome da accerchiamento; oppure la frenata della crescita globale che mette i brividi a chi di export campa: comunque sia, un segnale allarmante.
I casi di Italia e Germania sono d’altra parte il riflesso di un sentimento generalizzato in Europa, dove la sfiducia reciproca è la cifra specifica della crisi del debito, come ampiamente dimostrato durante il vertice Ecofin di ieri. Sull’introduzione della Tobin Tax, la tassa sulla transazioni finanziarie, l’Ue si è spaccata. Dell’intesa a 27 neanche l’ombra. Gran Bretagna, Svezia, Olanda, Irlanda, Malta e Lussemburgo hanno impilato sul tavolo un «no» dopo l’altro, mentre nove nazioni (tra cui anche l’Italia, anche se il suo è un assenso subordinato all’esito del summit di Bruxelles della prossima settimana) si sono pronunciate a favore della cosiddetta «cooperazione rafforzata», uno zoccolo duro che permette ai Paesi che vogliono procedere a un’integrazione più stretta di farlo a certe condizioni. Ma con Londra che si sfila, resta da vedere se la Tobin tax vedrà davvero la luce. Il rischio è quello di una fuga di capitali verso la City, o che le singole banche europee comincino a operare dall’estero per evitare la tagliola fiscale.
Insomma: altro concime per la sfiducia. Come quella che Berlino continua a nutrire nei confronti di Atene. Il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, è inflessibile: «La Grecia deve rispettare le condizioni del programma di aiuti», ha ribadito ieri. Più tenero il giudizio dell’Ecofin sull’Italia. Non è infatti stato aperto un nuovo fronte sui meccanismi salariali. Nel nuovo testo, infatti, l’Ue chiede all’Italia di limitarsi a «monitorare», e solo «se necessario rafforzare l’attuazione del nuovo quadro di adeguamento salariale». Per il resto, le raccomandazioni sono rivolte all’adozione «in via prioritaria» della riforma del mercato del lavoro e alla messa a punto di «uno schema integrato di sussidi di disoccupazione».
I mercati seguono il dibattito europeo con più di qualche timore. Dopo il declassamento di 15 banche annunciato da Moody’s, la decisione della Bce di allentare le garanzie sui prestiti nell’eurozona aveva messo ieri di buonumore le Borse. Poi, complici le critiche della Bundesbank alla mossa di Mario Draghi, è tornato il nervosismo.

Piazza Affari è scesa dello 0,65%, anche se i titoli bancari si sono comportati bene e le pressioni sugli spread si sono allentate (Btp-Bund a quota 422, quello dei Bonos a 479) dopo che le esigenze di capitale per le banche iberiche sono risultate nettamente inferiori ai 100 miliardi.

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