Se fossi ancora nel Comitato premi della Fondazione Balzan sarei stato uno dei più entusiasti nel votare Paolo Rossi Monti come vincitore del premio di quest’anno per la Storia della scienza (il premio gli verrà consegnato a Berna a fine novembre).
Provenienti da scuole molto lontane ideologicamente, ma molto vicine metodologicamente, la sorte ci ha accomunati in molti compiti affini. Anzitutto nel nascere a 12 giorni di distanza. Poi nel vincere lo stesso concorso di Storia della filosofia nel 1961. Infine nel collaborare per anni nel Consiglio delle ricerche a distribuire somme ai meritevoli (non a pioggia).
Basti un esempio. Un pedagogista molto influente chiese un finanziamento cospicuo, dichiarando che, se la richiesta non fosse stata soddisfatta per intero, la ricerca non avrebbe dato risultati. Naturalmente non gli demmo nulla e, quando venne a protestare, gli spiegammo che non potevamo destinare a lui solo tutto il disponibile. Venne a più miti consigli, dicendo che avrebbe cercato il resto presso altri.
Paolo Rossi ha coltivato per decenni la storia della scienza, ma la coltiva da filosofo, non da puro tecnico, pur avendo affrontato tecnicamente certi problemi, come La logica combinatoria da Lullo a Leibniz (1960) e soprattutto La nascita della scienza moderna in Europa (1997). La scienza ha una nascita spuria, contaminata con la magia (Bacone), con la mistica (Keplero), con l’alchimia e la teologia (Newton) e con tutti i possibili modi di intendere la filosofia. Credere che lo spirito scientifico positivo sia il terzo momento di una evoluzione, che segue a un periodo teologico e ad uno metafisico del pensiero, è aderire allo spirito di Augusto Comte, che non per nulla finì col fondare una nuova religione, parodia del cristianesimo. Ben diverso il succedersi dei momenti in Giambattista Vico (cfr. Le sterminate antichità: studi vichiani 1969), secondo cui ciascuno dei tre momenti successivi è inadeguato, ma in forma diversa; e da ultimo, pervenuta alla «barbarie della raffinatezza» con la scienza, la civiltà riapre il ciclo.
Contro il progresso lineare immaginato dai positivisti, Paolo Rossi accoglie una concezione della scienza pervasa di immaginazione e di magia, che Arthur Koestler ci presentò nel 1959 con I sonnambuli. Ma ancor più interessante a questo proposito, è lo sviluppo della scienza nell’ultimo mezzo secolo, che ha risolto in favore degli avversari di Einstein il problema se Dio nel creare il mondo «giochi ai dadi». Secondo Einstein, quando la teoria fisica fosse completa grazie alla scoperta di parametri nascosti, non dovremmo più avere incertezze. Ebbene, a quanto pare, negli ultimi vent’anni i risultati di esperimenti non solo mentali hanno dimostrato sperimentalmente che in microfisica Dio gioca effettivamente ai dadi e che nella meccanica quantistica non è possibile una descrizione completa del reale. Analogamente, nella prima metà del secolo scorso, il logico Kurt Gödel aveva dimostrato matematicamente che la validità delle scienze matematiche non si fonda su una dimostrazione della loro coerenza o non-contradditorietà. Ciò spiega come mai le branche più utili della matematica - principalmente il calcolo differenziale e integrale - si siano imposte grazie alla loro riuscita, pur in mancanza di una dimostrazione logica della loro correttezza. In vista di ciò uno spirito positivo, se mai ce ne fu uno, il D’Alambert, pronunziò la celebre esortazione: «Andate avanti, la fede vi verrà».
Per queste ragioni è opportuno che la storia della scienza sia coltivata con spirito filosofico, come fa Paolo Rossi, e non sotto un aspetto puramente tecnico. E oggi la filosofia sembra al centro dell’attenzione del Comitato premi, da quando Salvatore Veca ne ha assunto la presidenza, succedendo all’ambasciatore Romano.
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