«I miei 35 anni alla Michelin»

«Il momento più bello? La ricostruzione dell’impianto di Cuneo distrutto dalle fiamme»

Maurizio Refini

da Montevarchi (Arezzo)

Il mondo dei manager, secondo gli stilemi americani, sembrerebbe destinato a una mobilità sfrenata, tourbillon di trasferimenti, un po’ come nel calcio, due anni e poi via con una maglia diversa. Non c’è amor di marchio che tenga...
Ogni tanto, però, qualche caso riconcilia con quel sapore d’abitudini antiche che dà un colore diverso a un mondo che sembra essere diventato una fabbrica di stress piuttosto che di esempi. Alla fine di luglio, dopo 35 anni di permanenza nell’azienda, Roberto Mantelli, 62 anni, ha lasciato il vertice di Michelin Italia (ne era presidente, amministratore delegato e direttore Paese). Racconta Mantelli: «Iniziai il 3 febbraio ’72, appena laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino. Avevo fatto quello che fanno tutti i ragazzi di questo mondo: ho risposto a un annuncio anonimo comparso su un quotidiano. Sostenni il colloquio, pensando che un ingegnere meccanico poco servisse a un’industria di pneumatici. Quando mi comunicarono che su 200 candidati avevano scelto il sottoscritto rimasi davvero sorpreso».
Dove la prima esperienza?
«Allo stabilimento di Cuneo, reparto mescole, di cui divenni responsabile. Poi nel 1978 il trasferimento in Olanda, per due anni, come responsabile dell’impianto».
È stato l’inizio di un lungo peregrinare?
«Assolutamente no. Nell’80 sono tornato a Cuneo, come responsabile della produzione, incarico che ho mantenuto sino al 1987. Nell’87 è arrivata la nomina a direttore dello stabilimento. Nel ’94, però, la chiamata a Clermont Ferrand, in Francia, come direttore del personale “quadrimondo”, cioè di tutta la galassia Michelin. Sono rientrato a Cuneo nel 1999, dove ho chiuso la mia esaltante esperienza accanto a Bibendum».
Qual è stato il momento più brutto e quello più bello dei suoi 35 anni in Michelin?
«Il più brutto, sicuramente, l’incendio che l’8 agosto del ’99 ha distrutto lo stabilimento di Cuneo: non si sono stati né morti né feriti, ma l’immagine di quello stabilimento devastato ancora mi deprime il cuore. Il più bello, nel 2004, quando sono stati completati i lavori di ricostruzione, cinque anni di grande coinvolgimento umano e una spesa di 100 milioni di euro».
Che cosa ha di particolare la Michelin, secondo lei?
«È un’azienda che cura i rapporti umani. Quando dissi all’esaminatore che mi aveva comunicato l’assunzione che ero stato proprio fortunato, mi rispose che in Michelin si cerca sempre prima l’uomo che il tecnico.

È una lezione che mi sono portato dentro, anch’io ho sempre cercato prima gli uomini, poi le loro conoscenze tecniche».
Un consiglio ai giovani manager?
«Affezionarsi all’azienda dove si lavora e cambiare se proprio non se ne può fare a meno».

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