
C'è un Museo Infinito dentro la Galleria d'Arte Contini a Venezia, a pochi passi da piazza San Marco, ed è quello che abbraccia le opere dell'artista di origine coreana Park Eun Sun, lo scultore dell'anima che si è innamorato dei marmi di Carrara ed è ormai cittadino onorario di Pietrasanta, maestro in creazioni che sparigliano le carte delle classiche geometrie pur usando materiali tradizionali come il marmo, il granito, il bronzo. Sculture resilienti, si potrebbero definire. Spiega il 60enne Park Eun Sun: «La sofferenza genera bellezza e nella pietra spaccata e ricomposta si ricostruisce l'armonia, frutto dell'atto creativo». Ebbene, ora da Contini questa armonia raddoppia, ché «Museo Infinito - Park/Botta», è un progetto di Leonardo Contini concepito come una «bi-personale»: un corposo numero di opere dello scultore coreano dialogano infatti con i disegni e i progetti in scala firmati dall'archistar ticinese Mario Botta, 82 anni, per il Museo Infinito, attualmente in costruzione nella contea di Sinan, in Corea del Sud, e dedicato proprio a celebrare in patria la fertile creatività di Park Eun Sun. Da Contini ci si muove negli spazi della galleria (dopodomani, 17 maggio, alle 18.30, evento speciale alla presenza degli artisti, la mostra resta aperta al pubblico fino al 23 novembre) immergendosi nell'universo di Park Eu Sun e nella rilettura che ne fa Botta, in un felice incontro tra Oriente e Occidente, che ben si accosta alla Biennale Architettura di Carlo Ratti appena inaugurata nella Serenissima.
Architetto Botta, cominciamo proprio da qui, da Venezia: che rapporto ha con la città?
«Per cinque anni Venezia è stata la mia culla (Botta si è laureato in Architettura alla IUAV della città - ndr), nella quale ho maturato le potenzialità e i limiti dell'architettura».
C'è la sua firma negli ingressi della Fondazione Querini Stampalia, che peraltro ha da poco un nuovo direttore, Cristiana Collu. È ancora legato a questo luogo così particolare?
«Sì, è lo spazio dove ho passato le serate di acculturazione durante i miei cinque anni di studi: la sua biblioteca era l'unica struttura aperta fino a mezzanotte».
Adesso, nel pieno di questa Biennale Architettura che indaga la pluralità delle intelligenze, la Galleria Contini ha scelto di inaugurare una mostra che mette in dialogo i lavori di Park Eun Sun e i suoi disegni. Che rapporto c'è, secondo lei, tra scultura e architettura?
«Un rapporto che è sempre esistito: entrambi sono mestieri chiamati a modellare la pietra».
Com'è nato il suo rapporto con Park Eun Sun? Come vi siete conosciuti e in che cosa ha trovato particolare affinità con lui?
«Ci siamo conosciuti, credo, durante la sua mostra ai mercati di Traiano, a Roma, nel 2014 (s'intitolava «Innesti e connessioni» - ndr). L'artista Park aggiunge alla pietra la componente della geometria per trasformarla in obelischi, che diventano icone.
Mi sembra che il mio lavoro sia l'inverso di quello dell'artista, un procedimento per levare e ridisegnare un habitat. Due atteggiamenti contrari, ma complementari, che possono ridisegnare lo spazio di vita dell'uomo. Forse per questo, scultura e architettura possono convivere».
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