I militari italiani in Libano: «Non chiari i nostri compiti»

Emanuela Fontana

da Roma

«Vi sono molti equivoci su quello che stiamo facendo qui». La parola inglese è «misunderstanding», incomprensioni, ambiguità, sul compito dei militari della missione Unifil in Libano. A parlare è un italiano, il tenente colonnello Stefano Cappellaro del Battaglione San Marco, e la sua testimonianza è raccolta dall’autorevole New York Times. Il tenente colonnello staziona con undici uomini in uno static point alla periferia di Beirut. Ma «se vedono qualcosa di sospetto, lo devono riferire alla forza libanese», chiarisce il quotidiano americano. E, al momento, sarebbe impossibile gestire un posto di blocco comune: «Quando non si conoscono le rispettive procedure - spiega ancora Cappellaro - non ci si può sovrapporre».
Le incomprensioni, però, nascerebbero soprattutto dal fatto che, in base alla risoluzione 1701 dell’Onu, i caschi blu non possono creare posti di blocco, perquisire auto, case o negozi, né fermare sospetti, o camion con possibile esplosivo a bordo. Perché prima è necessario l’ok dell’esercito libanese. È questo il senso dell’articolo, che racconta dei problemi dei 5mila uomini dell’Onu in Libano, tra cui mille italiani. Una versione apparentemente confermata dalle parole del nostro militare.
Dichiarazioni pesanti che però dalla missione italiana in Libano vengono categoricamente smentite. Quelle del tenente colonnello, si precisa, sono «frasi estrapolate. Il nostro ruolo è chiaro per Cappellaro e per tutti noi». Vi è anche del personale specializzato nelle traduzioni per evitare dubbi nelle comunicazioni.
Ma rimane il reportage del quotidiano statunitense. In cui viene citata una dichiarazione di un altro italiano, comandante della San Marco, il colonnello Rosario Walter Guerrisi: il compito, per ora, è quello di «consigliare, aiutare e assistere le forze libanesi». Fonti Onu segnalano poi che per quanto ampia sia la missione, «non lo sarà mai abbastanza se sarà percepita come una forza di occupazione».
Gli abitanti di Burj Qalawiyah, villaggio di mille abitanti a 70 chilometri da Beirut, intanto ringraziano gli italiani per i 3mila euro offerti per riparare la scuola bombardata dai jet israeliani. Ma per continuare ad essere le benvenute, queste forze devono dimostrare di «proteggere i libanesi contro Israele».
La missione italiana è in difficoltà per le dichiarazioni al New York Times.

Ma lo è anche il governo, per questioni legate invece ai finanziamenti: il capo di Stato maggiore dell’esercito, l’ammiraglio Giampaolo di Paola, si è sfogato sulle risorse troppo sottili per le forze armate: «Così non si può continuare. Lo strumento militare attuale non può tirare avanti con questo livello di risorse. A questo punto bisogna fare delle scelte, che sono prettamente politiche». Il 2007, ha avvertito, sarà «un anno di chiarimenti».

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