I militari italiani ora rischiano di trovarsi in mezzo a una sanguinosa guerra civile

Si sospetta che i killer del ministro, sfuggiti incredibilmente all’arresto, siano tornati in un campo profughi palestinese a Sidone. Timore di scontri tra Hezbollah e le fazioni antisiriane

I caschi blu italiani in Libano sono seduti sull’orlo di un vulcano che potrebbe esplodere nella bestia peggiore del Paese dei cedri, una guerra civile che già in passato ha seminato morte e distruzione. L’assassinio del ministro dell’Industria Pierre Gemayel, uno degli ultimi rampolli del clan cristiano maronita che ha segnato la storia sanguinosa del Libano, è avvenuto nei dintorni di Beirut, ma gli effetti nefasti rischiano di coinvolgere tutto il Libano, compreso il sud presidiato da 2.500 soldati italiani della missione Unifil.
Una fonte del Giornale ha rivelato che ieri, dopo l’assassinio di Gemayel, le forze di sicurezza libanesi controllavano minuziosamente le automobili in arrivo a Sidone, la città del sud sulla strada verso Tiro, dove ha inizio la zona controllata dagli italiani. Il sospetto è che i killer del ministro, sfuggiti incredibilmente all’arresto, stiano tornando ai loro rifugi. Per esempio il campo profughi palestinese di Ein el Hellwe a Sidone, che ospita pure fuorilegge, cellule estremiste sunnite vicine ad Al Qaida e formazioni armate filo-siriane. Un vivaio perfetto per assoldare sicari.
Fino a ieri i caschi blu avevano a che fare con il riarmo di Hezbollah e i sorvoli dei caccia israeliani in perlustrazione, a dimostrazione del fatto che la pace è ancora una chimera. Con l’omicidio eccellente di un ministro cristiano maronita, filo-occidentale e antisiriano, l’instabile situazione politica libanese rischia di crollare addosso a tutti, compresi i caschi blu.
Le avvisaglie erano evidenti dal momento in cui gli Hezbollah e i loro alleati, appoggiati da Damasco, hanno dichiarato guerra al governo di Fouad Siniora, accusato di essere troppo vicino agli americani e antisiriano. Sei ministri si sono ritirati dall’esecutivo con l’obiettivo di ottenere un rimpasto che avrebbe favorito il blocco filo- siriano paralizzando Siniora con il potere di veto su qualsiasi iniziativa, compreso il disarmo di Hezbollah.
Il premier per ora resiste, ma ieri uno dei ministri-simbolo del blocco antisiriano è stato ammazzato. Non solo: nei prossimi giorni dovevano scendere in piazza folle oceaniche per chiedere nuove elezioni. Se Hezbollah non cambierà idea si rischiano scontri con le fazioni antisiriane, come gli ex falangisti cristiani del clan Gemayel, che ieri hanno già dimostrato tutta la loro rabbia nel quartiere-roccaforte di Achrafieh, a Beirut. Gli sciiti di Hezbollah hanno i loro santuari nel Libano meridionale, e a Tiro erano previste manifestazioni anti-Siniora. Inoltre non va dimenticato che l’area a sud del Litani, presidiata dai caschi blu, registra anche una minoritaria presenza cristiana a macchie di leopardo.

Gli israeliani, dopo la prima invasione del Libano nel 1982, avevano costituito proprio nel sud una milizia cristiana, comandata da Antoine Lahed, che oggi fa il ristoratore a Gerusalemme. Molte famiglie di ex miliziani, però, sono tornate alle loro case, e nessuno ha dimenticato la guerra civile.

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