«Dopo i nazisti racconto la vecchiaia»

Roma C’è un regista austriaco, Michael Haneke, quest’anno vincitore della Palma d’oro a Cannes con Il nastro bianco adesso nelle sale, che sta alla scrittrice conterranea Ingeborg Bachmann (1925-1979) come il suo cinema gelido e suadente sta alla scrittura di lei, sempre presa dai «sublimi» assassini dell’anima. Sarà una mera coincidenza (per chi ci crede), ma mentre esce Il libro Franza (Adelphi) della Bachmann, «che parla di un delitto con moltissime persone che non muoiono, ma vengono assassinate», esce pure questo film magistrale, in bianco e nero. La sua scena iniziale ci riguarda da vicino: un uomo va a cavallo, nella quiete d’un bosco, ma un filo invisibile, teso da un arbusto all'altro, all’improvviso abbatte cavallo e cavaliere ed è tragedia, mentre era idillio. «Esattamente come nella realtà che viviamo: quel che ci appare non è mai soltanto quel che è. Piuttosto, una società è come vuole apparire, non come esiste, nei fatti», spiega il cineasta, rigido e severo durante il nostro incontro alla Casa del Cinema, ma sorridente e divertito verso la fine, quando parliamo del «caso Marrazzo», sufficientemente esemplare di quanto Haneke ha inteso illustrare col suo film.
«Se ho sentito parlare del caso Marrazzo? Ma certo: ne parlano tutti, anche in Austria. L’ho trovato patetico e anche divertente. Mi fa pena soprattutto l’uomo, dietro a questa vicenda triste», sintetizza l’autore, che ha in Isabelle Huppert la sua musa (come si vide in La pianista, che sulla Croisette 2001 valse all’attrice il Gran premio della Giuria quale migliore attrice).
Ma veniamo a Il nastro bianco, metafora del nostro tormentato presente: in un villaggio della Germania del Nord, dove la comunità luterana impera reprimendo, le istituzioni vanno in pappe. Chiesa, scuola, polizia e nobiltà ballano sull’orlo d’un vulcano: siamo infatti tra il 1913 e il 1914, alla vigilia della Grande Guerra e i bambini d’un collegio assai rigoroso vengono duramente messi alla prova. La loro risposta? Nefandezze d’ogni risma, fino all’età adulta, quando diventeranno giovani hitleriani... «Gli austriaci sono maestri nel tacere i delitti più efferati, sicché trovo naturale che il loro rendiconto con la dittatura nazista sia stato, nel tempo, una specie di tappeto sotto al quale nascondere tante porcherie. In Germania, invece, il rendiconto col “passato che non passa” è avvenuto in profondità e senza ipocrisie", afferma Haneke, parlando della sua patria senza infingimenti.
Strano: a guardare quest’uomo secco e cerebrale, che nei suoi film raffinati - Funny Games, Niente da nascondere, La pianista - distilla gocce di veleno, a poco a poco, non lo si direbbe un padre di famiglia. «Ho quattro figli e sono molto interessato alle dinamiche di reciproco controllo e di violenza che s’instaurano all'interno delle comunità. Anche di quelle familiari. Ovvio che, come padre, avrò commesso moltissimi errori. Non a caso ho scelto di girare in bianco e nero, contrasto che, per me, rappresenta l’astrazione. Volevo fornire allo spettatore una vera e propria ricostruzione dei fatti, raccontando gli eventi per relativizzarli», approfondisce Haneke, che si appresta a dirigere un film con Jean-Louis Trintignant e di nuovo Isabelle Huppert (quante insinuazioni sulla Palma d’oro 2009, dato che La merlettaia era presidente di giuria) sull’interessante tema dell’umiliazione del corpo, man mano che avanza l’età.

«Non dobbiamo mai fermarci all’estetica del senso di colpa, ma alle cause che l’hanno generato. Il conformismo di oggi è forse peggiore del nazismo, dato che l’educazione estetica viene affidata alla tivù. Un vero disastro!».

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